Regia di Lisa Aschan vedi scheda film
Davvero una sorpresa positiva! Una storia bella e singolare che coinvolge. La recitazione delle due sorelle è STREPITOSA! Voto 7. E grazie. All'autrice.
Sara è davanti allo specchio e si sorride, preparandosi ad andare a letto mentre il marito Daniél l’avvisa, bussando alla porta chiusa, che sta andando a letto perché il giorno dopo deve partire per Malaga con un amico: il matrimonio non sta funzionando più e ha bisogno di tempo per pensare. Il sorriso sparisce: così all’improvviso? Si guarda il pancione, ormai alla fine dell’ottavo mese, in attesa di una bambina. E lui se ne vuole andare? La scena cambia, siamo al mattino seguente e lei fa una fatica immensa a muoversi in casa con quel peso gravido che per andare giù dalle scale preferisce andare scendere all’indietro. Sta preparando la colazione ma il marito tarda ad alzarsi dal letto, mentre il piccolo Elliot guarda un documentario sugli scimpanzè antenati dell’uomo: va a svegliarlo ma lui non si muove. Sembra morto. Il soccorso medico non può far altro che constatarne il decesso, forse per un’affezione cardiaca mai diagnosticata. Chiama subito la suocera Helen, di professione psicologa, una donna invadente, che si precipita col marito per prendere in mano la situazione, mentre la donna non reagisce come ci si aspetterebbe. Sembra insensibile e perplessa, e non sa come dirlo al figlioletto.
Altra scena, in casa della sorella maggiore Linda, che vive con Jasse, altra coppia in crisi, tanto che lei ha appena ricevuto un altro ragazzo e lui è “in pausa” presso un’altra ragazza. Dall’aspetto florido, piuttosto abbondante, ha come unico essere fidato l’affettuoso e giocherellone Zatlan (un vero personaggio aggiunto), un golden retriever con cui divide anche i dolci. Quando si presenta dalla sorella per le esequie, questa la congeda immediatamente, non la vuole come non l’ha voluta rivedere da anni, dalla lontana morte della loro mamma. Il padre, invece, vive in una casa di ricovero per anziani, ormai in piena demenza con qualche sprazzo di lucidità.
Il quadro è ormai chiaro: Sara è una donna apparentemente insensibile, perfino limitatamente affettuosa con il figlio, con cui non sa come affrontare la situazione, e questo duro colpo non la scuote, è come se non riesca ad elaborare il fatto, non sopporta la presenza costante della suocera, si guarda intorno con circospezione e vive momento per momento. Viene da pensare, osservandola, che da un istante all’altro finalmente esploderà e sfogherà il dolore con un urlo, un pianto, un abbandono. Ed invece nulla. Oltretutto ora si è pure rifatta viva Linda, dal viso aperto, sorridente, che vuole confortarla, si è messa a disposizione, ma è rifiutata. Sara non ha dimenticato il loro dissidio e non è disposta a passarci sopra, ma cede, finalmente, e la accoglie in casa per trovare compagnia anche per il piccolo Elliot, nonostante il fatto che la sorella si porterà il cane, dato che lei è allergica. Cosa che la maggiore smentisce: era la mamma che l’aveva convinta di ciò perché era proprio lei con non voleva animali in casa. Particolare che convince ancora di più la padrona di casa quanto ella fosse messa a parte nella vita di famiglia.
Quella bella villa immersa nel verde vede un continuo andirivieni, tra Linda che deve badare anche al padre demente, il fidanzato che non sopporta più, e la sorella che non reagisce. Poi c’è appunto Helen, la suocera che si presenta spesso e a volte si sistema in casa per sorvegliare e controllare tutto. Il buon nonno José è l’unico che intrattiene Elliot con giochi e filastrocche. Il clima non è mai sereno, nonostante gli sforzi positivi di Linda, dal viso accogliente, sereno ma preoccupato non sentendosi accolta come meriterebbe, anche afflitta dalle telefonate del padre che non trova le pantofole, che non ricorda nulla.
Due sorelle dal carattere opposto: l’una gioiosa, gentile, disponibile ad accorrere in ogni momento di bisogno, l’altra rigida, silenziosa, quasi assente. Che, soprattutto, non riesce ad elaborare il trauma e tiene chiuso in sé tutti i sentimenti, ondeggiando tra un misero sorriso per una gentilezza di Linda e la voglia di cacciare tutti di casa. Una allaccia i ponti, l’altra li distrugge, mentre il parto si avvicina inesorabile. I sentimenti repressi esplodono solo al momento del travaglio, quando, ricoverata, scappa dalla clinica e tocca ancora a Linda, aiutata dalla maldisposta Helen, ritrovare l’imminente puerpera nel luogo dove amava andare da bambina, sull’altalena di un parco vicino alla loro vecchia casa.
Tra il duro accento svedese, la freddezza architettonica del luogo, la stilizzazione degli ambienti, la rigidità dei comportamenti, l’ostilità derivata dalla mancata cordialità tra i personaggi, il film della apprezzabile regista (e solitamente sceneggiatrice, non questo caso) Lisa Aschan è un dramma della solitudine intima che riflette l’assenza di reazioni emotive dei personaggi principali, fatta eccezione, come già evidenziato, dell’affabile Linda. Un dramma che, come tanti che esplorano la difficile elaborazione del lutto, non trova immediato sbocco né emotivo né razionale e si trascina, e che vede da un lato chi si chiude a riccio, dall’altro gli sforzi di chi vuole rendersi utile, soprattutto dal punto di vista affettivo, ma che viene respinto. Sentimenti come poli di calamita dello stesso segno che si respingono: basterebbe girarli nel senso giusto e si avvicinerebbero, fino a restare uniti e stretti. È il miracolo che si attende, nella speranza che ciò possa avvenire.
Come film, mai eccessivo in ogni aspetto, ma misurato e preciso, non cade nel melodramma, né nella tragedia miserevole, piuttosto viaggia equilibrato con ottimi primi piani sul viso delle tre donne che caratterizzano la trama. A questo scopo, l’ideale e la speranza di una regista sono quelli di avere a disposizione interpreti adeguati, pena il fallimento dell’operazione. Ebbene, Sanna Sundqvist (Sara) e Charlotta Björck (Linda) sono di una bravura eccezionale, sono la ciliegia sulla torta. Bravissime, riescono ad esprimere ciò che passa per la mente con i minimi movimenti del capo e delle labbra, parlano con gli occhi, con accenni di sorrisi repressi o con quelli aperti ed accoglienti. Si fa presto ad intuire di chi i primi e di chi i secondi. L’unico personaggio che diverte, perché invadentemente simpatica, anche se a tratti insopportabile, è la mamma del defunto Helen, una brava Ia Langhammer, che vantando di poter essere utile come psicologa, ricorre ad un altro psicologo perché in quella situazione non riesce a venirne a capo.
Un dramma ma non tragico, che la regista spinge in angoli quasi da commedia seriosa (lo smartphone tirato in testa alla suocera è un comico gesto liberatorio), che rimbalza tra problemi antichi e mai dimenticati a quelli del presente, che richiedono solo la buona volontà e la voglia di tornare affabilmente assieme. Diretto con mano corretta e recitato magnificamente. Da donne, ché gli uomini, qui, o muoiono e contano pochissimo.
Due candidature per Sanna Sundqvist e Ia Langhammer nei Guldbagge Awards, i principali premi cinematografici svedesi. Ma, personalmente, avrei premiato l’ottima Charlotta Björck.
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