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Vermiglio

Regia di Maura Delpero vedi scheda film

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La recensione su Vermiglio

di Antisistema
8 stelle

Sulle alte cime delle Alpi Retiche a cavallo tra Lombardia e Trentino-Alto Adige, sorge il paesino di Vermiglio con poco più di 2000 anime. La posizione geografica e la difficoltà del clima invernale, lo rende spettatore a momenti distaccato, altre volte passivo, del grande conflitto mondiale in corso.
Maura Delpero torna alle radici della propria infanzia, attraverso una declinazione storica - la vicenda ha inizio nel Dicembre del 1944 -, i cui confini spaziali e temporali, mostrano una comunità sempre identica a sé stessa. “Vermiglio” (2024), guarda al neorealismo di matrice viscontiana della “Terra Trema” (1948), in quanto l’italiano non è la lingua dei poveri, ma de-privandolo di ogni lirismo melodrammatico, a favore di un tono etnografico, che aggiorni il cinema di Ermanno Olmi ai tempi presenti.
La macchina da presa, diventa oggetto silente e distaccato, come l’alternarsi della natura durante il ciclo delle stagioni, in cui il paese, viene scandagliato con una lente d’ingrandimento sempre maggiore, che passa dal quotidiano della vita - senza tralasciare le tradizioni del posto -, sino a vivisezionare la numerosa famiglia dei Graziadei.
Emerge la raffigurazione di una comunità agreste e contadina, dedita a perpetuare lo stesso lavoro, in totale distacco da un “male” mondiale, di cui si trovano tracce nei commenti dei paesani alla locanda del paese. Famiglie senza notizie dei figli, altre che hanno già piena conoscenza della loro morte, mentre c’è chi senza tatto si aggrappa ai valori di onore e coraggio, in un conflitto che ha spazzato via ogni concezione cavalleresca della guerra. “Eppure tutti fossero un po’ vigliacchi, non ci sarebbero più guerre”. In tale massima pronunciata dal maestro-capofamiglia Cesare (Tommaso Ragno), c’è una riflessione capace di trascendere l’epoca di ambientazione, così da divenire oggetto di indagine attorno “all’uomo”, “il mondo” e “la Patria”. Concetti di cui non si vogliono analizzarne i lati oscuri, per fare finalmente una resa dei conti nei confronti di un occidente, testardamente ancorato ad un elogio acritico delle proprie fondamenta, quando in realtà finiscono con il poggiarsi su fragili basi, tanto quanto quelle contestate a chi si trova al di fuori del suo perimetro d’appartenenza.

 

Martina Scrinzi

Vermiglio (2024): Martina Scrinzi


Il ripiego della comunità sulle proprie posizioni non può che portare alla sua disgregazione appena penetra dall’esterno un elemento dissonante; Pietro (Giuseppe De Domenico) un soldato disertore di origini siciliane. L’uomo verrà messo a confronto con tre giovani donne della famiglia Graziadei, tre diverse generazioni; la più grande di cui è innamorato Lucia (Martina Scrinzi), quella di mezzo Ada (Rachele Potrich) e la minore Flavia (Anna Thaler). Cos’è la famiglia? Cosa significa essere madri? Come si declina il rapporto tra genitori e figli? Delpero scruta con discrezione l’intimità del nucleo domestico, creando inquadrature in cui racchiude due o più soggetti, in una coscienza che scaturisce dal cartesiano “Io penso, dunque sono”, invece che da astratti intellettualismi astratti, così tanto decantati dal maestro Cesare (capace di far studiare le propri figlie), ma poi razzolati male nel privato, chiudendosi in uno sterile conservatorismo ultra-reazionario. La moglie Adele (Roberta Rovelli) viene obbligata ad un eterno ciclo di maternità, mentre il figlio Dino subisce le angherie potestative del padre-padrone e la figlia Ada si vede negata la possibilità di poter seguire le proprie aspirazioni di studio sempre da quel padre-maestro.
La cultura è il cibo di un’anima il cui involucro fisico - specie femminile - viene costantemente mortificato, relegando l’intera famiglia a stringere ancora di più la cinghia, per sottostare ad un autoritarismo intellettuale, del tutto astratto rispetto alle esigenze concrete. Tipica figura dell’intellighenzia culturale pseudo-progressista italiana, smascherata da un femminile oggetto di elogi puramente a parole, finendo con il venire confinato di fatto nei soliti schemi di ruolo.
La costruzione di pace a cui sembra avviato l’altrove esterno, amplifica lo sfaldamento del nucleo familiare vittima di costrutti immobili, che sembravano radicati nelle fondamenta di una Vermiglio, vivificata dalle intuizioni della fotografia di Michail Kricman, abile nel lavorare sul territorio paesaggistico quanto sull’antropologia.
Tra vicende più ispirate ed altri meno, restano quindi i volti delle donne relegate ai margini della geografia nazionale, la cui strada di riscatto morale, non può che partire esclusivamente da loro stesse.  

 

scena

Vermiglio (2024): scena

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