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Quel motel vicino alla palude

Regia di Tobe Hooper vedi scheda film

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La recensione su Quel motel vicino alla palude

di Qualcunocheadorailcinema
9 stelle

Il vecchio veterano di guerra e pazzo omicida Judd è il proprietario di un cadente motel, costruito ai margini di una nebbiosa palude. Dei suoi delitti non resta traccia perché le vittime finiscono fra le fauci del suo affamato coccodrillo.

 

"Quel motel vicino alla palude" (aka Eaten Alive) è una di quelle opere che riesce a coniugare l’orrore viscerale con una vena di ironia involontaria, portando lo spettatore a chiedersi se stia assistendo a un film da incubo o a una parodia malriuscita del genere. Ma, e qui sta il trucco, Hooper gioca abilmente con questa ambiguità, offrendo un’opera disturbante e grottesca, che lascia il pubblico in bilico tra il disgusto e il divertimento, sempre sul filo di un sarcasmo che emerge più nei dettagli che nel tono generale.

 

La trama ci porta in un motel fatiscente, isolato e dimenticato dal mondo, in cui il gestore, il signor Judd (interpretato da Neville Brand), sembra essere l’incarnazione di una realtà distorta e oscura. Il motel, più che un semplice luogo di pernottamento, è un vero e proprio labirinto di orrore psicologico, un luogo dove le leggi della logica e della decenza sociale sono state abbattute in favore di una follia cieca, alimentata dalla crudeltà. Hooper non si preoccupa di rendere il tutto particolarmente verosimile; il suo intento è quello di creare un'atmosfera di costante inquietudine, dove il razionale non ha posto e il brutale regna sovrano.

 

In questo scenario, Neville Brand interpreta un personaggio che è la quintessenza del criminale psicopatico: il suo Judd è un individuo grottesco, dalle movenze goffe e dal volto mascherato da un’espressione perpetuamente distorta, che sembra appena uscito da un quadro di Hieronymus Bosch. Se, da un lato, l’interpretazione di Brand potrebbe sembrare esagerata – e in effetti lo è, ma in modo assolutamente funzionale – dall’altro, è proprio questa sua fisicità “impropria” a rendere il personaggio ancora più inquietante. È un uomo che cammina come un clown mal riuscito, con un’aria di costante sforzo, quasi come se ogni sua mossa fosse una decisione consapevole per sembrare ancora più minaccioso. Eppure, nonostante questa goffaggine, l’interpretazione di Brand riesce a incutere terrore. È il tipo di criminale che, con un solo sguardo storto, potrebbe paralizzarti dal terrore, nonostante sembri un personaggio appena uscito da una parodia di film horror.

 

Il coccodrillo africano (differenziato specificatamente dall'alligatore da parte proprietario stesso) che abita le acque torbide della palude, e che diventa una sorta di mascotte del motel (almeno per chi ama il terrore), non è da meno. Con un tempismo impeccabile, il gigantesco rettile si fa vedere giusto nel momento in cui sembra che il film stia per allentare la tensione – un modo perfetto per ricordare allo spettatore che qui, alla fine, non c’è scampo, e che tutto può essere divorato. La sua apparizione è la ciliegina sulla torta di un film che, tra morti brutali e situazioni assurde, non teme mai di andare oltre il limite.

 

L’aspetto del motel stesso è un altro grande personaggio del film: come una torta mal riuscita di terrore, è sia rifugio che prigione, sia testimonianza di un mondo che è già andato a rotoli. Le pareti sporche, i corridoi bui e gli spazi stretti sono un incubo claustrofobico che costringe qualunque personaggio (e lo spettatore) a confrontarsi con una realtà distorta, fatta di violenza e follia. La scenografia, ridotta all’essenziale, ma perfetta per il tipo di narrazione, sembra sussurrare che nulla di buono può accadere in un posto del genere. Ed è proprio qui che la pellicola si fa interessante: non si limita a terrorizzare con l’uso di un assassino psicopatico, ma ci ricorda costantemente che l’intero ambiente è intriso di una malvagità viscerale, che permea ogni angolo di quella piccola dimensione infernale.

 

Ma la vera chiave di lettura di "Quel motel vicino alla palude" sta nel modo in cui Hooper mescola horror, grottesco e ironia involontaria, con il risultato di rendere il film più che un semplice slasher. Il film non si prende mai troppo sul serio, eppure riesce a far scivolare la paura nell’anima dello spettatore. Le situazioni e i personaggi sono così esagerati, le morti così teatrali, che finisce per esserci qualcosa di ironico anche nei momenti più violenti. E non è che Hooper voglia scherzare sul genere – no, sta semplicemente cercando di dire che, in un mondo tanto assurdo e irreale, l’unica reazione sensata potrebbe essere una risata nervosa.

 

La stessa fotografia con le sue ombre opprimenti e i contrasti netti, accentua questa visione di un mondo alla deriva. Ogni inquadratura sembra un quadro di incertezze, dove la luce non ha mai un posto sicuro, e il buio può nascondere qualsiasi cosa, anche il peggio. Il montaggio, poi, si fa straniante nei momenti di maggiore tensione, trasformando qualunque movimento percettibile in qualcosa di potenzialmente fatale, mantenendo alta l’aspettativa, come se ogni scena potesse esplodere in una nuova, imprevista brutalità.

 

In conclusione, "Quel motel vicino alla palude" è una pellicola che gioca con le regole dell’horror, mescolando, in un perfetto equilibrio, umorismo involontario e puro terrore. Si tratta in sostanza di una chicca, che pur nella sua medesima imperfezione, mantiene la capacità di sfidare il pubblico con un senso di costante disorientamento, lo rendono un capolavoro cult del genere, che merita di essere rivisitato per le sue stranezze e la sua inquietante bellezza. In definitiva, "Quel motel vicino alla palude" è la dimostrazione che, anche nel cuore del terrore più puro, c’è sempre spazio per una risata (ner

vosa, certo).

 

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