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Hit Man - Killer per caso

Regia di Richard Linklater vedi scheda film

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La recensione su Hit Man - Killer per caso

di Fabelman
8 stelle

Una squisita commedia a tinte black che condensa puro entertainment e profonde riflessioni filosofiche, che si mantiene coesa grazie a una sceneggiatura esemplare che tesse le fila di dialoghi pazzeschi e garantisce il giusto ritmo per 115 minuti di puro piacere.

La storia (quasi) vera del poliziotto Gary Johnson è apparsa sul Texas Monthly nel 2001 in un articolo scritto da Skip Hollandsworth (a sua volta sceneggiatore insieme a Richard Linklater del film “Bernie” del 2011); impiegato all’interno di una unità volta a sventare omicidi su commissione, ponendo agli arresti i colpevoli (quanto incauti e ignari) ordinanti, l’ardimentoso agente dalle insolite “sotto coperture” contribuì a far arrestare all’incirca 70 mandanti di altrettanti omicidi sventati. Più che per il ruolo di per sé già particolare, l’agente Johnson divenne una vera celebrità per via delle modalità con le quali tale ruolo interpretava, interpretazioni nel pieno senso del termine: a seguito di un’approfondita valutazione del soggetto che avrebbe dovuto incontrare e incastrare, adattava di conseguenza abbigliamento, acconciatura, addirittura slang e orientamento politico/sociale, oltre ad adottare veri e propri camuffamenti tramite utilizzo di trucco più o meno elaborato. L’obiettivo era quello di concludere positivamente l’operazione: creando i presupposti affinché il “cliente” potesse instaurare un rapporto empatico col suo personalissimo killer su commissione, la conversazione che ne scaturiva era senza dubbio priva di eccessive inibizioni pertanto molto più agevolmente inequivocabile, capace di inchiodare il talvolta maldestro e improvvisato mandante. Il suo personalissimo approccio generò dubbi di natura etica, talvolta dibattuti in sede processuale, portati per lo più a sostegno dalla difesa per indicare come il proprio assistito fosse stato indotto, persuaso a commissionare l’omicidio dall’eccessiva efficacia dell’interpretazione dell’agente degna almeno di un Golden Globe.

Il regista Linklater porta sul grande schermo questo originalissimo soggetto, affidando il ruolo dell’agente Gary Johnson a uno degli interpreti più in rampa di lancio, di sicuro l’attore più “anni ‘90” del cinema odierno, un gradevolissimo Glen Powell in versione trasformista. Una prova, quella dell’attore, di valore, pienamente calato nel ruolo, carismatico, ironico, trasformista sì ma mai sopra le righe, misurato.

Tutto il cast beneficia del vero protagonista della pellicola: la sceneggiatura, scritta a quattro mani da Glen Powell stesso insieme a Linklater. I dialoghi sono brillanti, rivelano acume e sono esempio di una scrittura intelligente, arguta, capace di assegnare ritmo alla pellicola con la sua vivacità, delineando i personaggi con un taglio ironico ma non per questo banale, senza mai sentire il bisogno di utilizzare la scappatoia della volgarità. Una scrittura di notevole pregio.

Pregio avvalorato dal risvolto filosofico della pellicola (nella realtà Gary Johnson è un poliziotto prestato all’insegnamento di filosofia all’università, il personaggio di Powell è un professore universitario poliziotto “part-time”) che pone il quesito, svolgendolo intorno all’evoluzione del personaggio del protagonista, se la personalità non sia il frutto di una scelta, consapevole o meno, dell’individuo propenso a “recitare” (considerandolo proprio) un determinato modo di essere che lo faccia sentire accettato o che gli rechi un certo grado di beneficio, personalità pronta a cambiare spartito al variare delle mutevoli circostanze. Siamo quello che siamo o ciò che scegliamo di essere?

La vera esistenza di Gary Johnson così come le vicende del personaggio di “Hit man - Killer per caso” suggeriscono quanto meno che l’essere umano è estremamente adattabile e propenso ad indossare questa o quella personalità, come un abito o un travestimento a seconda delle occasioni. A far da spalla a Glen Powell c’è Adria Arjona, capace di rendere il suo personaggio sufficientemente enigmatico e indecifrabile, anche se a dire il vero una recitazione più incisiva sarebbe servita. Comunque l’alchimia della coppia funziona e assegna alla pellicola un gradevole tocco di sentimento e sensualità. Il resto della truppa è poca roba, da segnalare il personaggio dell’agente Jasper interpretato da Austin Amelio che interpreta con una discreta intensità.

Dispiace l’assenza di riconoscimenti (la mancata candidatura della sceneggiatura non originale agli Oscar grida un po’ vendetta), resta un’opera di grande valore che forse ha pagato lo scotto di uno scarso lavoro in termini di promozione da parte della distribuzione.

Richard Linklater svolge il suo con il classico giudizio “senza infamia, senza lode”, una regia un po’ impersonale per una pellicola dalla forte personalità, tanto per restare in tema.

Un soggetto del genere veicolato da una sceneggiatura del genere con dialoghi del genere. . .immaginate il tutto nelle mani di un regista dalla forte impronta stilistica e autoriale con un nome e un cognome ben precisi: Quentin Tarantino (che sinceramente avrebbe bisogno di rinfrescare la propria filmografia con un titolo che lo porti su un terreno e un genere diversi da quelli fin qui troppo spesso calcati e ricalcati). Beh, forse anche lui dovrebbe convincersi che in fondo cambiare se stessi non è poi così complicato. . .

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