Regia di Justine Triet vedi scheda film
Un film di indubbio fascino sulla complessità e il mistero dell'animo umano.
E' un film di indubbio fascino, non facilmente inquadrabile in uno stile o in un genere. A seguito della 'caduta' iniziale di un uomo (che si rivelerà fatale), che svolge il mestiere di professore universitario aspirante scrittore, il film va a sviscerare la sua situazione familiare, il rapporto con la moglie, col figlio ipovedente, l'ambiente che si respira nella sua fredda, nevosa e forse un po' opprimente baita di montagna e tutto ciò che ruota attorno a loro. E' un film che va a esaminare e osservare nel dettaglio, senza superficialità, ma con occhio tragico, il dolore e i conflitti, potenzialmente esplosivi e crescenti, presenti in una famiglia apparentemente normale assieme ai piccoli e grandi drammi che vi si annidano e che col tempo diventano un veleno lento che conduce alla morte (non solo fisica, ma anche dei sentimenti, dell'anima). Su tutto ciò spicca la figura del figlio undicenne ipovedente che, seppur non è in grado di vedere, riesce a percepire, molto più degli altri, ciò che gli accade intorno.
Il film è narrato con uno stile asciutto e secco e con un ritmo e una tensione drammatica incredibile; una tensione che si annida nei dialoghi e negli sguardi dei protagonisti, che sembrano celare tanto dolore e mistero assieme all'incapacità di comunicarlo all'esterno. Il finale è volutamente ambiguo e sembra celebrare la complessità e l'inafferrabilità del mistero dell'animo umano e dei sentimenti che lo muovono.
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