Regia di Giulio Base vedi scheda film
Leggo su Wikipedia che Giulio Base, il regista de Il maledetto, fa parte del Mensa, l'associazione di cui possono essere membri le persone che abbiano raggiunto o superato il 98° percentile della popolazione mondiale per quoziente intellettivo. Sarà pure vero, ma non sembra che queste straordinarie doti il regista torinese le riversi nel cinema. La sua ambizione è senza freni, come pure la voglia di acquisire qualche gallone da appuntarsi al petto come "intellettuale" di destra. Ma i risultati sono quelli che la destra giuliana e sangiuliana ottiene di norma quando si misura con la cultura: nulli.
Sicché, se nella precedente occasione aveva cercato di confrontarsi con Proust (À la recherche), stavolta alza il tiro e il suo bersaglio diventa nientepopodimeno che Shakespeare. È al Bardo inglese che si ispira questo film cupissimo, senza capo né coda, nel quale un pecoraro mezzo pazzo (Nicola Nocella), dopo la morte del figlio, da piccolo "sacrista" e sobillato dall'ambizione della moglie, decide di dare la scalata al vertice della Sacra Corona Unita (siamo in Puglia, dove si parla un dialetto strettissimo: ma Base dimentica i sottotitoli per metà del tempo). Farà una carneficina.
Qualcuno ha visto in Il maledetto una versione pugliese e rurale di Macbeth, con tanto di "chiangimorti" al posto delle streghe e ci ha trovato addirittura echi di tragedia classica. Forse. Ma è una tragedia in cui la tensione drammatica è affidata a smorfie, frasi urlate e litri di sangue versati come fosse passata un'autocisterna dell'AVIS. Pare che la storia cominci e finisca "nella terra", ma se è per questo anche molte buche nelle strade italiane fanno lo stesso, senza per forza ambire alla profondità mitologica. Tolti l'interpretazione inquietante di Nicola Nocella - che parte come uno zombie spaesato e finisce come un guerriero apocalittico - e il corpo statuario di Ileana D'Ambra, il resto del film è paccottiglia involontariamente parodistica, che diventa pienamente ridicola in un finale frettoloso e delirante nel quale la furia omicida del protagonista sfocia in un gran-guignol bellico con autoblindo dell'esercito incluso. Una specie di Rambo in Valle d'Itria, con in sottofondo una colonna sonora che, se fosse davvero ipnotica, ci aiuterebbe almeno a dimenticare. Più che cinema d'autore, sembra un atto di stregoneria ai danni dello spettatore. E se su RaiPlay è davvero tra i titoli più visti, non resta che sperare sia per sbaglio.
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