Regia di John Frankenheimer vedi scheda film
Frankenheimer già dalle prime regie si era cimentato in opere di grande impatto, capaci di fondere realtà e fantascienza (o fantapolitica) con un approccio innovativo ed asciutto. Con Operazione diabolica stupisce ancora di più. Innanzitutto la trama include tematiche ancora oggi moderne: dall’insoddisfazione della vita borghese alla ricerca di un nuovo modo di affrontare la propria vita sotto un altro aspetto ed un’altra identità. Chiaramente appaiono indovinate sia la caratterizzazione imbolsita e placida interpretata da John Randolph nel ruolo dell’insoddisfatto Arthur Hamilton che quella aitante, ma che evolve sempre più verso la disperazione, di Rock Hudson nelle nuove vesti di Tony Wilson. L’esperienza che vivono questi personaggi (che poi sarebbero uno solo) è costantemente accompagnata dal fascino verso un’opportunità completamente nuova, trainante verso un’esperienza di vita che la quotidianità aveva schiacciato insieme ai sogni giovanili e l’agghiacciante sospetto che questo nuova “forma” sotto cui rinascerà il protagonista nasconda orrendi contraccolpi. Innanzitutto la “società” che si propone per avviare questa operazione sul protagonista, invitato da un amico che credeva morto, agisce senza scrupoli attraverso il ricatto (Hamilton viene drogato e ripreso mentre aggredisce una ragazza, per cui non potrà più rifiutarsi di accettare questo patto), inoltre appare incredibilmente sofisticato ma impeccabile il processo che la società ha impostato per simulare la morte del protagonista, attingendo ad un cadavere che sarebbe stato spacciato per il suo, permettendo di sottoporre il cliente ad una sofisticatissima operazione chirurgica capace di cambiarne tutti i connotati (fisico, voce, occhi, impronte digitali). Altrettanto stupefacente è la preparazione relativa agli aspetti amministrativi: il cliente firma una procura testamentaria che permette alla società quindi di gestire il patrimonio del “defunto” e provvedere quindi al benessere dei superstiti ma anche capace di garantirgli una posizione nella sua nuova identità oltre che trattenere un’onerosa parcella per l’intervento ed i conseguenti impegni.
Vediamo quindi apparire il protagonista sotto una nuova veste: sebbene ringiovanito e sotto un aspetto invidiabile (non a caso interpretato da uno degli attori più prestanti di Hollywood), appare impacciato nella sua nuova identità e crucciato tra la consapevolezza della nuova vita ed il proprio passato, sino a sfogarsi in un party, mentre è brillo con altri invitati, esponendo quindi sè stesso ad infrangere la regola di tacere circa la sua nuova identità, scoprendo anzi che l’unica donna con cui aveva avviato un’interazione è in realtà un’addetta della Società che controlla l’evoluzione dei pazienti nella nuova “vita”. Un colloquio con l’ex moglie convine Hamilton, ora Wilson, a voler tornare indietro, o meglio a volersi sottoporre ad un nuovo intervento e quindi avviarsi verso una nuova identità. Ma ora la Società gli presenta un nuovo vincolo: individuare un nuovo cliente, nella sua rete di amicizie o conoscenze, proprio come venne invitato lui a sua volta da un amico. L’impossibilità da parte di Wilson di suggerire qualcuno lo fa inserire in una sorta di lista d’attesa sine die, per cui di fronte alle sue rimostranze viene prontamente portato verso la sala operatoria, ove apprende che un pastore sta recitando l’estrema unzione mentre il chirurgo che si appresta ad “operarlo” lamenta di dover partecipare ad un epilogo del genere su ciò che è stato il suo “miglior lavoro”. Tra le urla quindi Wilson viene soppresso e anzi, il suo corpo sarebbe stato utilizzato quale cadavere per un nuovo paziente “in entrata”.
Come detto la trama è di per sè modernissima per l’epoca. Lascia altrettanto sorpresi la libertà sia a livello tecnico che di contenuti, che il regista è riuscito ad impostare con questo film: riprese oblique, campi dilatati, soggettive incerte fanno da contraltare a sequenze che, con il codice Hays che sarebbe decaduto solo 2 anni dopo, sembrano anticipare sequenze di film del decennio successivo: sorprendentemente la telecamera indugia su una sequenza orgiastica in cui si vedono nudi integrali di donne e uomini (questi però censurati all’epoca e che verranno ripristinati solamente decenni dopo in vista di alcune riproposizioni del film), la vividezza di alcune sequenze, come l’operazione, sebbene senza alcuna scena ripresa direttamente, sono scandite con modalità modernissime, e il risultato dell’operazione inzialmente sembra rimandare quasi alle ambizioni dei mad doctors dei film horror con risultati alla Frankenstein ove in questo caso la creatura è un uomo trasformato e non un insieme di cadaveri. Infine l’evoluzione della storia che è a metà tra un incubo kafkiano e la fantascienza distopica appare fortissima e con un climax finale che non lascia dubbi su un trionfo del male sul bene. A questo si aggiunge un ritmo nella trama che, sebbene sostanzialmente priva di azione, non lascia alcuno spazio al compiacimento o a sequenze prive di tensione, mantenendo invece un costante malessere per l’intera durata, fino al drammatico epilogo.
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