Regia di Michael Powell, Emeric Pressburger vedi scheda film
Chi si recherà in Francia, presso l’antico seminario di Bayeux, non dovrà rinunciare a vedere al suo interno “l’arazzo di Bayeux”, risalente alla fine del XI secolo.
Lungo all’incirca 68 metri, esso mostra le tappe dell’invasione e conquista normanna dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore, mediante un’articolata scansione narrativa di azioni concatenate per immagini, che ne fanno proto antenato del fumetto. L’opera legittima il governo degli invasori, ponendosi come obiettivo ulteriore la convivenza pacifica tra l’elemento normanno e la maggioranza anglosassone. La storia dell’Inghilterra moderna, che spazza via l’ultimo rimasuglio delle invasioni barbariche, nasce proprio qui. Non deve essere un caso l’utilizzo di un arazzo come scelta per i titoli di testa, da parte di Powell&Pressburger in quanto “Duello a Berlino” (1943), in scala ancor maggiore, vorrebbe unire un’umanità divisa sotto un unico cielo e al tempo stesso porsi come l’opera “ri-fondativa” del loro sodalizio. Primo film del duo sotto l’insegna della compagnia produttiva da loro fondata “The Archers”, primo uso del “Technicolor” per il quale diventeranno celebri per generazioni di registi e soprattutto prima volta in cui i crediti dell’opera indichino “Scritto, prodotto e diretto da Michael Powell e Emeric Pressburger” in questo preciso ordine.
Powell soleva affermare, come un film necessitasse prima di tutto di essere “scritto” - termine posto prima degli altri, in quanto si vuole sia evidenziare l’importanza di una buona storia sia il contributo troppo negletto degli sceneggiatori -, poi “prodotto” - un’opera deve avere alle spalle una solida base tecnica e rivolgersi ad un pubblico per generare abbastanza ricavi da ripagare le spese - in ultimo “diretto” – la tradizione del cinema vuole il nome del regista alla fine -.
L’arazzo di apertura ha un’ulteriore importanza. Ritrae il protagonista del film in fattezze caricaturali del tutto identiche a quelle della famosa striscia satirica “Colonel Blimp” di David Low, ovvero il prototipo della vecchia classe dirigente britannica; reazionaria, retorica, cavalleresca e tronfia di orgoglio per l’impero coloniale.
Il titolo originale “The Life and Death of Colonel Blimp”, non direbbe nulla allo spettatore italiano senza tale premessa. Bisogna dire come Pressburger alla sceneggiatura, sovverta da subito aspettative e regole, in quanto nel lungometraggio non vediamo nessuna “morte” a cui si accenna nel titolo, né tantomeno un protagonista dal nome “Blimp”, che anzi si chiama Clive “Sugar” Candy (Roger Livesey). La stessa storia risulta essere del tutto originale, condividendo con la striscia, solo le caratteristiche di pensiero del personaggio ed il suo aspetto d’anziano nelle scene della vecchiaia.
Duello a Berlino. Versione integrale (1943): Deborah Kerr
Girato tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943, con uscita a Giugno dello stesso anno -quindi prima di intravedere i barlumi di una possibile vittoria contro i nazisti, nelle battaglie decisive occorse in quell’annata -, il periodo in cui fu girato, contribuisce a fare di “Duello a Berlino” il candidato principale al titolo di opera più coraggiosa della storia del cinema. Stretto dalle incombenti necessità belliche - Laurence Oliver prima scelta non fu svincolato dai suoi doveri per l’esercito - quanto accusato di possibile disfattismo dalle alte sfere britanniche - Churchill oltre a scagliarsi contro il ritratto positivo del tedesco (seppur ovviamente anti-nazista), vi vide una possibile parodia nei suoi confronti in quanto Blimp, ricalca in gran parte il suo vissuto umano -, i due cineasti nonostante tutto riescono a girare un film ricolmo sagacia ironica, freschezza estetica e trovate originali. La più britannica tra tutte le opere cinematografiche, pienamente aderente allo spirito dell’essere “inglesi”; l’attaccamento alle tradizioni, il senso dell’onore, la ritualità dietro le azioni, l’essere fedeli a sé stessi nonostante lo scorrere del tempo e soprattutto una sentita elegia di una quarantennale amicizia (1902 -1942), tra il veterano britannico Clive Candy e l’ufficiale tedesco Theo Kretschmar-Schuldorff (Anton Walbrook).
Costruito attraverso un complesso flashback, introdotto tramite la macchina da presa che avanza senza stacchi, lungo la vasca da bagno rettangolare, in cui ci si è tuffato l’anziano Clive e da cui ne riemerge “giovane”; Powell&Pressburger sperimentano nuove possibilità tecnico-espressive, recependo le innovazioni di “Quarto Potere” di Orson Welles (1941), di cui l’opera si pone come una risposta britannica.
La gestione del tempo e dello spazio nel dipanarsi della struttura narrativa, non muta mai la psicologia di un Clive Candy, statuario ed imperturbabile a tutti gli sconvolgimenti storico-politici avvenuti. Rimane da inizio alla fine, lo stesso scapestrato che per questioni di onore militare, scatenò un quasi incidente internazionale con i tedeschi, incrociò la spada con l’odiato nemico e trovò infine la più importante amicizia della sua vita, capace di trascendere le rispettive diffidenze, odi e barriere linguistiche (Theo inizialmente di inglese conosce solo “Much” e Very much”).
Si dialoga a distanza con “La Grande Illusione” di Jean Renoir (1937), dove i primi passi di conciliazione vengono compiuti dal “nemico” e celebrati tramite un’economia di parole dal profondo significato umanista; “My english is not very much but my friendship for you is very much”. L’immagine-tempo scolpisce nella stretta di mano, un’umanità capace di essere al tempo stesso la più feroce delle bestie, ma contemporaneamente capace di superare i propri individualismi beceri, nel nome dell’arte, della cultura e dell’amicizia, se posta in condizioni di poter entrare in contatto personale con l’altro.
La retta tracciata tra Theo e Clive, assume la forma geometrica di un triangolo, in quanto il celebre virtuosismo della macchina da presa elide il duello - costruito negli antecedenti in tutta la sua dovizia di particolari -, focalizzandosi su una struggente Edith Hunter (Deborah Kerr), in ansia per le sorti del tenzone. Anche qui il militare inglese, dovrà assistere alla nascita del legame d’amore tra la donna e l’ufficiale prussiano, prima di poter capire, oramai troppo tardi, i sentimenti nei suoi confronti.
La scelta eccentrica è far interpretare alla stessa Deborah Kerr - qui al debutto cinematografico -, le tre donne importanti nella vita dei due uomini. Edith, il grande amore di gioventù rimpianto; Barbara, colei che invece Clive sposa al termine della Prima Guerra Mondiale folgorato dalla somiglianza con la prima ed infine Angela; una scelta tra le 700, che gli farà da autista nella vecchiaia. Clive e Theo, nei momenti in cui hanno più bisogno rivedono, nei volti di tali donne, l’indimenticata Edith colta nella sua giovinezza immutabile.
Tale fissità, come già detto, appartiene ad un Clive alienato dal tempo e dal contesto cui si vive. Nonostante passi attraverso gli orrori della Prima Guerra Mondiale - di cui non comprende la radicale rottura rispetto ai conflitti precedenti - ed il doloroso periodo post-bellico, rimane sempre identico a sé stesso.
Theo invece cambia, come fa la sua Germania passando dall’Impero tedesco, alla repubblica di Weimar fino ad approdare alla dittatura nazista, risultando in ciò una figura dinamica ed assai più empatizzante per lo spettatore. Segnato dal mutare dei tempi e da una difficile maturazione, il suo incontro post primo conflitto bellico con Clive, risulta essere all’insegna dell’imbarazzo, conscio della netta cesura avvenuta, a differenza dell’amico capace di pensare che tutto possa tornare come prima.
La recitazione dei due attori asseconda la diversa percezione dello scorrere del tempo sulla loro psiche. Roger Livesey nella performance risulta sempre esuberante quanto colmo di borbottii, pur di gustare con la solita aria baldanzosa il suo sigaro, mentre Anton Walbrook conferisce una progressiva cupezza riflessiva al tono delle sue parole, coadiuvato da un’andatura del corpo claudicante ed una sigaretta consumata ogni volta in modo sempre più lento. La sfera intima del dolore, viene colta dal primo piano della macchina da presa, che fissa l’amara constatazione dell’ex militare tedesco, nei confronti di un mondo involuto e segnato dall’ascesa del male nazista, verso il quale si mostra ostile. Nell’idiozia cavalleresca di Clive, c’è anche la fedeltà a dei valori, forse anacronistici, ma infondo autentici e vissuti con bonaria gentilezza. L’essere uguale al giovane del 1902, consente la sopravvivenza dell’amicizia verso Theo, in quanto il cinismo di quest’ultimo l’avrebbe fatta naufragare.
Clive/Blimp viene “umanamente” assolto in quanto rappresenta nonostante tutto, ciò che rimane della vecchia Inghilterra, mentre i suoi valori, sostituiti da un ineluttabile nuovo a cui ci si deve adeguare con insoddisfazione, vengono satirizzati a colpi di fioretto dalla penna di Pressburger e dalla regia di Powell. Il duo si mostra critico sia nei confronti di un impero mondiale britannico prossimo al tramonto sia verso la corsa verso un militarismo sfrenato su cui edificare il sistema sociale. La questione viene problematizzata andando oltre il pacifismo tout court, date le incombenti necessità belliche, in quanto viene affermato da Theo, il “tedesco buono”, la necessità di dover combattere per difendere quei valori in cui si crede - veri oppure esistenti oramai solo nella mente dell’anziano Clive -, pena la morte di quella democrazia, che vedrebbe segnata la sua ultima ora, innanzi all’avanzare delle dittature totalitarie del secolo breve.
Film aggiunto alla Playlist dei capolavori del cinema: //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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