Regia di Jafar Panahi vedi scheda film
La triste fuga di tre ragazze evase da un carcere della Tehran dei giorni nostri, s’intreccia ad altre storie di donne disperate e senza ormai più appigli nella vita. Una è costretta a lasciare la figlia piccola in mezzo alla strada, un'altra viene arrestata perché prostituta, e seguendo il cerchio di terribili disavventure e proibizioni imposte alle donne iraniane, si giunge tutti a una stessa fine.
Leone d’Oro a sorpresa al 58° Festival di Venezia, “Il Cerchio” di Jafar Panahi, conferma innanzitutto il talento ormai appurato del pluripremiato regista iraniano e da modo di riflettere sulla condizione esistenziale del gentil sesso nella conflittuale Iran, reso corroso dalle sofferenze e dalle umiliazioni e descritto in un modo clinicamente documentaristico. È proprio la realizzazione del film infatti a rendere particolarmente merito all’evoluzione della storia, che viene subito pedinata da una m. d. p. rigorosamente a spalla e lentamente resa poi distaccata più dal fitto intrecciarsi delle otto storie che da una scelta prettamente di stile. Non è il miglior film di Panahi, in certi frangenti accusa forse troppo didascalisimo e scarsità emozionale, ma è sicuramente il più profondo, realistico e intransigente, uno splendido reportage di vite umane dimenticate ma incancellabili, chiuse consapevolmente in un cerchio di rancore, reso incontrollabile dalla sua stessa circolarità. C’è della grande cognizione e capacità di rappresentazione massimale in Panahi, che non tralascia nemmeno la sua consolidata vena onirica in diversi frangenti del film, come ad esempio i titoli di testa accompagnati dal lamento di una donna partorente. Attrici non professioniste che innestano tutta la loro più grande demagogia nei confronti di un popolo che delle donne non sa che farsene, se non per risanare il cerchio comunque ancora inconsapevole della loro presenza.
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