Regia di George Marshall vedi scheda film
La penna di Raymond Chandler, lievemente penalizzata dalla riscrittura del finale pretesa niente meno che dalla Marina degli Stati Uniti, al servizio di un noir asciutto, ambiguo e conturbante. Parata di archetipi del genere (il locale notturno dal nome esotico retto da un faccendiere, la dark lady, la donna “moderna” e perduta, il veterano dal pugno facile e ancora trench, sigarette e jazz) “La dalia azzurra”, come tutte le opere di Chandler, vale molto più per le sue atmosfere ciniche e sentimentali che per lo svolgimento della trama. Non contano tanto le tappe che portano a scagionare l’innocente perseguitato ingiustamente dalla giustizia (altro tema “caldo” del noir), quanto il tratteggio dei personaggi in scena, incisi con l’ambigua plasticità di chi sa che nessuno è candido come le ali degli angeli (esemplare, in questo senso, la figura di Veronica Lake; e memorabile anche la sequenza dell’incontro fra Ladd e la Lake, sotto la pioggia, con… colpo di fulmine). Una lezione di estetica noir, anche senza una regia forte, che solo la Hollywood anni Quaranta sapeva impartire.
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