Regia di Francesco Lettieri vedi scheda film
Sandro (Arena) ha quasi cinquant’anni ed è stato il capo degli Apache, gruppo ultras napoletano che allo stadio ha scambiato la militanza con l’identità. Un daspo lo tiene lontano dalla curva, mentre il ragazzo che lo considera una guida, Angelo, sogna la trasferta “decisiva” a Roma dove suo fratello è morto negli scontri. In mezzo ci sono Terry, con cui Sandro prova a immaginare una vita normale, e la frattura tra la vecchia guardia diffidata e il nuovo gruppo che continua a seguire la squadra, incline a confondere fedeltà e culto della violenza.
Lettieri viene dalla forma breve e si vede: la vicenda di redenzione del capotifoso è costruita come un videoclip lungo, tra controluce e colonna sonora di Liberato che prova a dare profondità dove la scrittura resta schematica. Si intravede il desiderio di una “epica” delle periferie, sulla scia del filone Gomorra/Suburra, ma il realismo si fa cartolina patinata e la crisi morale di Sandro resta teorema, non carne. Aniello Arena offre una prova muscolare e insieme inespressiva: recita soprattutto di trapezio e mascella, con una fisicità carceraria che sostituisce lo sguardo, e alla fine il personaggio rimane un blocco di cemento emotivo. L’immersione nel mondo ultras è accurata quanto prevedibile, le dinamiche generazionali si limitano a ripetere il copione del padre simbolico e del figlio smarrito. Sullo sfondo, la benedizione di Netflix: un prodotto pensato per il consumo globale, che addomestica l’asperità del tema e confeziona un “cinema per tutti i palati”, compresi quelli che dopo i titoli di coda devono solo scegliere il prossimo in catalogo.
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