Regia di Yves Boisset vedi scheda film
Leader di un movimento d’opposizione in un paese nordafricano, Sadiel (Volontè) si è rifugiato in Svizzera. Inviso a un ministro di primo piano (Piccoli), con uno stratagemma e usando come esca uno spiantato riciclatosi come informatore dei servizi segreti (Trintignant), suo vecchio amico, Sadiel viene fatto trasferire a Parigi e, qui, sequestrato e poi ucciso. L’amico – che in un impeto di coscienza è deciso a scoperchiare il vaso di Pandora del complotto – fa la stessa tragica fine.
Cinema politico (e già per questo encomiabile) a cui pare interessare soprattutto l’impianto accusatorio legato a uno dei casi meno noti, ma più scandalosi, della storia recente francese: il rapimento e l’eliminazione del leader marocchino Ben Barka nel 1965, con sospetti su un ménage a trois fra servizi segreti francesi, CIA e ministri nordafricani. Boisset, come un Costa-Gavras in economia, imbastisce una sorta di Z – L’orgia del potere in sedicesimi (lo sceneggiatore, Jorge Semprun, è lo stesso), mettendo in scena un sistema che stritola i singoli con l’efficienza di un tritacarne burocratico. Nonostante un cast che oggi farebbe tremare qualsiasi budget (Trintignant ambiguo come un Giuda, Piccoli glaciale, Seberg spaesata, Volonté dolente, e ancora Bouquet, Cremer, Noiret, Scheider) e le musiche di un Morricone un po’ in modalità pilota automatico, i personaggi restano troppi e monodimensionali. L’approccio narrativo è talmente didascalico da sembrare un volantino militante illustrato, suggellato nell’ultima inquadratura in cui uno dei corpi viene – senza metafore – insabbiato. Resta comunque un thriller polemico, figlio di un’epoca in cui il cinema credeva ancora che anche un’inquadratura potesse essere un’arma politica, pur sapendo che la macchina statale, alla fine, vince quasi sempre.
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