Regia di Ari Aster vedi scheda film
"Il trauma psicologico di Dani influisce sulla sua relazione con Christian, il suo compagno. Tuttavia, quando i due visitano la comune ancestrale di un amico nel tentativo di sistemare le cose, quell’esperienza cambia per sempre le loro vite"
Aster dirige un film che rompe le regole classiche dell’horror: oscurità, ritmo serrato e incalzante, sangue. Niente di tutto ciò è presente in Midsommar, che preferisce distaccarsi dal genere e portare tutto l’orrore alla luce del sole.
La fotografia fredda aiuta lo spettatore a comprendere l’evoluzione del film e ciò che vuole comunicare, anche se a volte contrasta con i colori molto accesi (e persino caldi). Un ruolo fondamentale è svolto proprio dal colore che danza tra le inquadrature: non è il nero a predominare, ma una varietà di colori, mentre il nero è relegato ai sogni e agli incubi.
Se fotografia e colori funzionano senza dubbio bene, il merito maggiore va alla regia, che racconta in modo asettico una storia priva di emozioni ma colma di follia. La regia stessa ci dà un’idea di quanto sia bravo Aster e di quanto sappia gestire bene la macchina da presa attraverso le inquadrature.
Tuttavia, se fino a questo punto tutto funziona, il film perde qualcosa nella costruzione dei personaggi. Se il film procede lentamente, i personaggi cambiano e scompaiono molto (forse troppo) in fretta. Basta una scena perché tutto cambi. I personaggi poi sembrano ignorare fatti piuttosto assurdi: quattro persone scomparse, uso costante di droghe, individui fuori di testa che inscenano rituali, e l’accettazione della morte come qualcosa di normale.
Avere una mente aperta va bene, ma c’è una bella differenza tra partecipare a un festival e assistere a un suicidio. Ma tutto ciò che è stato mostrato era davvero necessario? Ci sono scene che si sarebbero potute tagliare o ridurre, ma che forse sono state persino troppo esagerate nel loro voler essere.
Un altro peccato è il finale, che avrebbe potuto concludersi in modo molto diverso. O almeno, è questa la sensazione che il film ci aveva preparato. Due ore e mezza e poi tutto si risolve abbastanza in fretta, banalizzando un po’ la conclusione e lasciando tutto molto, molto aperto. È chiaro che lei ha trovato una nuova famiglia, ma il film non dà il tempo alle immagini di sedimentarsi; tutto accade troppo in fretta.
Florence Pugh offre un’ottima interpretazione del suo personaggio, cosa altro si può dire? Bravissima. Forse si sarebbe potuto approfondire un po’ di più il suo personaggio, che resta piuttosto superficiale, ma lei fa il massimo con ciò che ha.
Il Midsommar esiste davvero, anche se non viene celebrato da una setta e non è come nel film.
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