Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Affresco imperdibile.
Il bello dei film di Pupi Avati è che il suo cinema non è mai ideologico, come prima di lui Federico Fellini. Il cinema di Avati è a tutti gli effetti post-felliniano, una galleria di personaggi ingenui e fessacchiotti e di situazioni imbarazzanti, ma sempre con una levità e un’innocenza sconosciute allo stesso Maestro riminese.
In pochi altri film si respira una distanza così irrimediabile ed irriducibile tra il popolo e il ceto borghese. Sono piccoli episodi, quasi kafkiani, come il buongiorno detto da Vanni al “Professore” che nemmeno lo guarda perso com'è in ben più imporanti pensieri, o il bacio casuale che ossessiona Vanni da 10 anni e liquidato dalla sua amata altolocata Gaia con una sorpresa risata, o ancora gli spaghetti serviti alla festa di laurea e schifati da tutti i convitati con la puzza sotto il naso, ma mangiati con gusto da servitù e orchestra, tanto schifo forse non facevano… Pupi non ha la velleità di certi registi rossi da festival di fare cinema di denuncia, di incitare le masse oppresse alla lotta di classe, di ostentare impegno politico, anche un po’ fasullo e marpione. Il cinema di Pupi è ingenuo come i suoi bei personaggi, trasognato, malinconico, disilluso, e sconfitto. Non apre alla lotta di classe perché dichiara la resa in partenza. Vanni lo sapeva fin dall’inizio che il suo desiderio dell’idealizzata Gaia (che poi si rivela una stronza tale e quale a tutti gli altri) era destinato a disfatta certa, però continuava a desiderarlo. Ecco, forse nell’immutabilità perenne delle campagne romagnole, qualcosa alla fine Vanni lo impara: avrei voluto essere uno di voi stronzi, ora mi sono reso finalmente conto che non ne vale la pena.
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