La recensione su Quel che resta del giorno

Pochi film, come questo, riescono ad amalgamare al meglio le alte dimensioni produttive (costumi, ricostruzione d'epoca, i migliori attori) con dei buoni contenuti, una buona sceneggiatura e una regia di livello. Questi due gruppi di caratteristiche fanno spesso a pugni tra loro, e le eccezioni non sono molte.

Questa pellicola appartiene tuttavia a questo non folto gruppo, facendo praticamente quadrare il cerchio.

James Ivory, già avvezzo ad ambientazioni d'epoca nell'ambito della più genuina nobiltà e alta società inglese, ci offre qui il ritratto convincente di un uomo che si è dedicato con devozione religiosa al proprio lavoro, dimenticando tutte le altre dimensioni della vita (soprattutto quella affettiva), e perdendo le vere occasioni, o meglio, costringendosi a rinunciarne. Egli prende atto della verità e delle occasioni perdute solo quando è ormai troppo tardi, e a nulla vale la sua presa di coscienza. La sua devozione fanatica al lavoro lo lascia quindi con in mano un pugno di mosche e tanta amarezza.

Il modo caparbio in cui il protagonista scansa l'amore, lo rifiuta, lo nasconde a se stesso e alla donna ha qualcosa di masochistico. Lei anela per un singulto di verità da parte sua, vorrebbe che le apra il cuore, che prenda atto dei suoi sentimenti, invece egli si trincera nella sua rigida compostezza e impassibilità. Vuole ingannare lei, e invece inganna solo se stesso. Alla donna non resta che guardarlo con compassione e scuotendo il capo, prendendo atto che nulla può smuoverlo dalla sua ostinazione.

La figura del padre, a ben guardare, aggiunge un'annotazione interessante: l'uomo presenta lo stesso fanatismo verso il lavoro del figlio, al quale evidentemente l'ha comunicato. Forse esso si coniuga, nel suo caso, con la sua incapacità di smettere, anche quando è evidente che è giunta l'età della pensione. Ma la sua vita, a quanto pare, senza il lavoro non ha senso.

Sullo sfondo vediamo una nobiltà inglese che strizza l'occhio a Hitler e alla persecuzione anti-ebraica; a questo proposito Ivory evita ogni fastidiosa retorica, e sceglie l'assenza di enfasi. Nei personaggi delle due domestiche tedesche, infatti, rende la tragedia di quegli avvenimenti tangibile e dolorosa.

Passando agli attori, Hopkins ci dona un'interpretazione ricca di sfumature e di accenni, che delineano a poco a poco il suo personaggio. La sua interpretazione durante l'addio sotto la pioggia è memorabile. Anche Emma Thompson, comunque, dà prova della sua bravura e ci offre un convincente ritratto di un personaggio complesso e contrastato. James Fox, dal canto suo, è un credibile aristocratico britannico, raffinato e un po' ipocrita. In parte per la sua somiglianza fisica e in parte per la presenza di Michael Lonsdale in una piccola parte, sulle prima l'ho confuso con Edward Fox, lo “sciacallo” del celebre film di Zinnemann. Poi, facendo delle ricerche incrociate, ho saputo che gli attori sono due e che, in effetti, sono fratelli.

Di solito non viene rilevato, ma io ritengo fin troppo evidente come “Downton Abbey” abbia pescato a piene mani da questo film, e da qualche altro di Ivory. La differenza è che in “Quel che resta del giorno” c'è contenuto, riflessioni, personaggi ben definiti e cura registica, mentre tutto ciò è sconosciuto al mondo delle serie televisive e delle loro propaggini nelle sale cinematografiche.