Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
VOTO 10/10 Il capolavoro del periodo messicano di Bunuel: un film di impressionante potenza a livello narrativo e figurativo, un'analisi spietata del degrado e della miseria che partoriscono il crimine, un grido di dolore emesso senza facili moralismi, ma con un linguaggio asciutto ed essenziale, dove si ritrovano le radici surrealiste della poetica bunueliana, soprattutto in certe simbologie visive e nelle due sequenze oniriche. Pare che sia stato ispirato dalla visione di Sciuscià di De Sica, e rispetto al film italiano è ancor più crudo ed efficace nel mostrare l'infanzia abbandonata e sottomessa alle dure regole della sopravvivenza in condizioni estreme. Gli interpreti sono per la maggior parte non professionisti e recitano con naturalezza grazie all'intelligente direzione di Bunuel, la fotografia in bianco e nero di Figueroa è geniale nei contrasti di luci ed ombre e nel conferire plasticismo all'immagine. Definito da Bunuel un film di lotta sociale, è una pellicola all'insegna di un pessimismo radicale che dette molto fastidio alla sua uscita in patria e fu riconosciuta al suo giusto valore solo dopo il grande successo ottenuto al festival di Cannes del 1951, dove vinse il premio per la migliore regia. Ammirato da critici e artisti come André Bazin e Octavio Paz, in un certo senso preannuncia molto cinema a venire come i primi film di Pasolini, anche se la regia di Bunuel si stacca decisamente dalla matrice del Neorealismo per inseguire i propri fantasmi e le proprie ossessioni personali, sempre all'interno di un linguaggio estremamente rigoroso. Il titolo italiano aggiunge una connotazione di polemica sociale sicuramente presente nell'opera ma che risulta un po' enfatica, mentre si preferisce la secca neutralità dell'originale "Los olvidados" che vuol dire semplicemente "I dimenticati": dimenticati sia dalle istituzioni politico/sociali, sia da Dio, all'interno di una visione ovviamente laica e razionalista che si oppone a qualsivoglia Credo.
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