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Bella e perduta

Regia di Pietro Marcello vedi scheda film

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La recensione su Bella e perduta

di alan smithee
8 stelle

68° FESTIVAL DI LOCARNO - CONCORSO

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Bella e perduta (2015): scena

Il cinema di Pietro Marcello, sempre in bilico tra narrativa e documentario, si concentra sulle figure degli umili, anzi degli ultimi, quelli che a volte rivendicano con orgoglio e coraggio la propria condizione ponendosi coraggiosamente a baluardo del proprio operato e della propria intransigente, eroica presa di posizione.

Dopo la Liguria dei carruggi genovesi, teatro d'azione di una coppia impossibile e per questo perfetta de La bocca del lupo, il regista casertano resta nella sua terra campana per raccontarci di un eroe piccolo e silenzioso: un pastore di bufali che sacrifica la sua vita per mantenere in piedi un bellissimo casale-reggia che giace abbandonato a se stesso, all'incuria e alle razzie dei saccheggiatori, tra le lande desolate e fertili di una periferia casertana devastata dai rifiuti e popolata da mandrie di bufale da latte. BELLA E PERDUTA è appunto la Reggia di Carditello, gioiello dell'epoca borbonica risalente al 1700, da troppo tempo in stato di abbandono nonostante l'eroica iniziativa di un privato cittadino e pastore, divenuto custode a tempo perso e in modo assolutamente volontario e gratuito, spinto da un amore viscerale per quella meravigliosa struttura architettonica in pericolo di degrado irreversibile.

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Bella e perduta (2015): scena

La volontà di Tommaso, questo il nome dell'umile operoso ed illuminato dai bellissimi occhi cerulei e buoni (quasi quanto quelli corvini ed umidi del piccolo bufalo destinato come tanti al sacrificio, al servizio di una umanità vorace e distruttiva), è quella di tenere in piedi una location preziosa di cui lo stato e la burocrazia si sono dimenticati o hanno sepolto tra le pratiche impossibili destinate all'indifferenza. L'unica cosa che l'uomo chiede in cambio è che un piccolo bufalo maschio, chiamato Sarchiapone, in quanto tale destinato alla macellazione ancora infante, venga tenuto in vita. Per questo un allegro e un po' disorganizzato Pulcinella si materializza per salvare l'animale e portarlo al sicuro, tra pastori ignoranti ma citazionisti di una poesia dannunziana bucolica assolutamente pertinente e doverosa.

Le sorti dell'animale sono segnate già dalle prime scene iniziali, e la sconfitta e il disgusto per il trionfo dell'ingiustizia divengono il tratto comune di una storia di piccoli eroi soffocati dalla corruzione e dall'indifferenza generale.

Tommaso morirà (per davvero!!! a volte le storie vere superano la fantasia o l'irrazionalità emozionale della narrativa) in circostanze misteriose o non chiarite la notte di un Natale passato da poco, ufficialmente per infarto. Ma la sua figura, scomoda, per la malavita locale, ma pure per le amministrazioni del posto che col loro non fare, non reagire, alimentano ed incoraggiano la clandestinità ed il malaffare, diviene sempre più evocativa di un cittadino solo, apparentemente impotente e fragile come un fuscello che si oppone al colosso della corruzione e del malaffare, da sempre simbolo della forza prevaricatrice della camorra, che si alimenta come un vampiro della linfa vitale dei piccoli innocenti, come i mammiferi impotenti destinati al macello.

Tra le vittime designate inesorabilmente dalla condizione che li delinea, il bufalo cucciolo, con i suoi occhi umidi ed umani, lo sguardo buono e pacifico che lo rende parte integrante di una natura benevola e bucolica solo a sprazzi, tra cuccioli di cane e altre specie innocue e pacifiche, personifica l'onestà che finisce sempre per soccombere, nonostante la mobilitazione tardiva di una macchina dell'informazione sempre troppo superficiale o generalista.

Marcello fa un film forte, potente, emozionante ed intenso che si innesta ed interseca nel carattere e nei tratti dei personaggi e delle maschere popolari italiane proprie  della più antica tradizione popolare, che altro non sono, già dalla loro genesi, se non la personificazione dei tratti, vuoi dominanti vuoi oppressi, vuoi servitori arrivisti, vuoi vittime designate, del prototipo di personalità variegata che da sempre riempie la sfaccettata massa sociale, sempre divisa tra oppressori (pochi e potenti) ed oppressi, ovvero una massa diffusa e soccombente.

Un meritato  Pardo D'oro, sarebbe stato plausibile e sin facile prevedere per uno dei film più belli, potenti ed emozionanti del Concorso: così non è stato, forse per la difficoltà di far comprendere certi argomenti e certi personaggi così tipicamente inseriti nella nostra tradizione popolare, da divenire probabilmente incomprensibili per una giuria così internazionale come quella del festival ticinese.

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