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La Faida

Regia di Joshua Marston vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su La Faida

di alan smithee
6 stelle

Il californiano Joshua Marston torna cittadino del mondo e dopo la Colombia e i suoi loschi traffici “all’interno” di “Maria full of grace”, questa volta gira il mappamondo e il suo dito indagatore si sposta nell’Albania più rurale e sperduta, ove analizzare le origini e l’evolversi di un conflitto estenuante tra due famiglie di agricoltori; tra di esse nasce il conflitto insanabile e violento: basta uno sgarro sulla abituale percorribilità di un sentiero di proprietà degli uni, ma utilizzato soprattutto dagli altri per abbreviare un percorso altrimenti accidentato e lungo, che la scintilla scoppi come sulla benzina. E degenerando rapporti gia’ tesi, fino alla vera e propria faida del titolo, fomentata dal sangue dei primi caduti e gestita nel rispetto assurdo e quasi irreale di ferree e minuziose regole orali che legiferano in materia, regolando nell’assurdita’ e nello spirito di vendetta tutti i frequenti conflitti che dividono i contendenti, povera gente che lotta per un pugno di terra o un diritto di passaggio.

Succede dunque che una intera famiglia (quella che si è ribellata all’affronto e ha ucciso, per opera di due fratelli ormai anziani, il figlio del patriarca dell’altra) rimane confinata in una isolata casa in costruzione, al centro di una campagna semi-coltivata, tra pareti scrostate, linoleum ingiallito e mattoni a vista che opprimono il giovane protagonista, il vero elemento nel centro del mirino in quanto capostipite maschio della famiglia. Il ragazzo si organizza, tra il tedio dell’attesa, l’impossibilità di coltivare un nascente amore adolescenziale, e la volontà di irrobustirsi per potersi far valere come un adulto. Intanto le donne, ancora ragazzine, le uniche beneficiate da una sorta di dispensa al clima di attesa di una forma di ritorsione violenta da parte della famiglia degli offesi, si prodigano perché la vita ed il sostentamento non abbiano a mancare.

Un buon film medio che si sofferma, forse in modo sin troppo elementare e scolastico, sulla stupidità e miopia del carattere umano, così refrattario alla pacifica convivenza in nome dell’onore e di sentimenti gretti come invidia, l’orgoglio fine a se stesso, la prevaricazione. Ma anche sulla assurdità di tutta una serie di regole e comportamenti nati e coltivati nella notte dei tempi per regolare e gestire tutte le drammatiche fasi di una faida che non troverà mai pace, lasciando sul campo vite, spesso innocenti, o costringendo i minacciati alla fuga.

Lucido e schietto, il film è interessante più per il contesto in cui è ambientato, una realtà rurale in cui la modernità di un cellulare si scontra con la quotidianità di un trasporto di pane che avviene ancora su un carretto di fortuna trainato da un cavallo rissoso ma volenteroso; piu’ prezioso che bello per la capacita’ di cogliere, nelle espressioni rassegnate dei volti giovanili - ben più saggi, coraggiosi ed onesti di quelli dei loro rancorosi vecchi legati alla tradizione e all’onore – le ragioni dell’inutilita’ di una violenza senza fine che genera solo ulteriori conflitti in un territorio gia’ difficile e lontano dalla prosperita’.

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