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The Rum Diary. Cronache di una passione

Regia di Bruce Robinson vedi scheda film

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La recensione su The Rum Diary. Cronache di una passione

di alan smithee
6 stelle

La notizia positiva e' che Johnny Deep in questo film torna ad interpretare un personaggio interessante dopo i disastrosi episodi dei Pirati dei Caraibi, il tremendo The Tourist e il fasullo Alice di Burton. Il suo giornalista freelance che nel 1960 giunge a Porto Rico per collaborare con uno sgangherato giornale locale filo-americano, e' decisamente il suo personaggio piu' interessante da anni, se si eccettua quello del "Nemico pubblico" del buon film di Mann. Paul Kemp non e' certo un asso con la penna stilografica ne' con la macchina per scrivere, e la sua permanenza nell'isola caraibica e' piu' che altro l'occasione per perdersi in nottate all'insegna dell'ebbrezza da alcol e dagli eccessi a cui lo conducono certe frequentazioni di colleghi ormai bruciati dal vizio. Cio' nonostante il giornalista riesce a legarsi alle grazie di un cinico affarista (Aaron Eckhart, un cattivo detestabilmente in forma) che, in compagnia di altri loschi investitori, sta progettando la costruzione di un enorme complesso immobiliare che stravolgera' l'habitat, fino a quel momento incontaminato, di una delle molte isole paradisiache dell'arcipelago. 
Poteva mancare una bionda fatale mozzafiato (la stupenda Amber Heard)? Un paio di colleghi perennemente strafatti da alcol e droghe con cui Deep da' vita ad un paio di scenette godibili (completamente bruciate dalle anticipazioni di trailers sempre piu' invasivi e rivelatori)? Un piccolo intrigo per tentare di sventare il piano speculativo rovinoso, con lotte tra galli "esorcizzati" da sedicenti stregoni per raccimolare qualche soldo dopo che il riccastro ha lasciato in mutande i tre sfigati protagonisti? Il tutto ornato da una coreografia a base di localita' caraibiche mozzafiato, sotto un sole magico che illumina di una abbronzatura seducente i bei tre protagonisti  (Deep, Heard, Eckhart), immersi in un paradiso che in quesgli anni doveva davvero essere il massimo della seduzione e della purezza naturale. Per il resto il film risulta sempre un po' insicuro su che strada procedere, se sulla commedia leggera o sul dramma di denuncia, e via via che la storia procede sembra un po' perdersi in lungaggini e scaramucce che non aiutano alla fluidita' del racconto.
Fino ad arrivare a scoprire che dopo tutte le peripezie Paul Kemp si trovera' impossibilitato a scrivere il suo primo vero articolo importante che denunci le pressioni e le perversita' di un sistema speculativo che avrebbe da quegli anni in avanti stravolto molti luoghi incontaminati in nome di un business che non guarda null'altro che il profitto cieco ad ogni regola morale o civica. Cosa che susciterebbe molte perplessita' nello spettatore che paziente ha seguito le vicissitudini anche superflue in cui il film si e' perso nelle sue due ore di durata, non fosse che una provvidenziale comunicazione a fine film ci avvisa che il protagonista e' realmente esistito e da quel momento e' riuscito a trovare quella vena creativa che fino ad ora mai lo aveva anche solo sfiorato, e che gli valse anni dopo svariati ambiziosi riconoscimenti nel settore per i suoi scritti di denuncia contro un mondo che vive di sopraffazione e prevaricazione. Perche' come si dice nel film in una delle poche frasi degne di nota "l'uomo e' l'unico essere vivente che crede in un dio, ma anche l'unico essere vivente che non ne teme le conseguenze".

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