Regia di George Stevens vedi scheda film
E' una felice commistione di commedia (la prima parte è un'esilarante screwball comedy), dramma e impegno civile. Il tutto è ben amalgamato e inserito in una trama ricca e veloce. George Stevens dirige col suo consolidato mestiere degli anni migliori.
Quanto al lato civile, il film sviluppa un'interessante discorso sul senso, lo scopo e l'uso della giustizia. Vi sono infatti due degenerazioni - sostiene il film - nelle quali può incappare la sua messa in pratica: uno è la letterale applicazione della legge, senza discernimento e soprattutto senza buon senso. In questo modo si prendono cantonate enormi, come l'incolpare di un reato un innocente, e il trascinarlo al patibolo. Si potrebbe qui citare il detto "summum ius, summa iniuria". Ogni caso dovrebbe essere considerato sì secondo la legge, ma anche con il buon senso, e la volontà di comprendere veramente una determinata situazione. Non è moralmente corretto sputare una sentenza applicando il codice alla virgola, senza preoccuparsi della verità e della giustizia, e poi andare a dormire tranquilli.
L'altra degenerazione in cui può scivolare l'applicazione della legge è la cosiddetta giustizia di popolo, e il linciaggio pubblico da parte di una turba che crede di aver capito tutto e di avere il diritto di impiccare il presunto criminale. Quanti innocenti sono stati linciati da parte di questi paladini della giustizia popolare? Il problema doveva essere un male endemico della società americana di quegli anni, visti i vari film che si occupano del problema ("Furia" di Fritz Lang e numerosi altri).
I tre protagonisti sono tutti promossi a pieni voti, tra cui un Cary Grant nella parte un po' insolita dell'uomo rozzo e schietto, e dotato di gran buon senso.
Il film quindi è uno spettacolo godibile, e pure spunto di interessanti riflessioni sulla giustizia e sulla legge. Lo consiglio quindi anche agli addetti al diritto e alla giurisprudenza.
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