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Bad Boy Bubby

Regia di Rolf de Heer vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Bad Boy Bubby

di sasso67
6 stelle

Se il film finisse nel momento in cui Bubby esce di casa, ovverosia dopo la prima mezz’ora, “Bad Boy Bubby” sarebbe un capolavoro, con questo personaggio a metà tra Henry Spencer di “Eraserhead” e Kaspar Hauser, osservato dalla macchina da presa come dallo spioncino della camera di contenzione o sotto la lente dell’entomologo. Purtroppo, l’australiano d’origine olandese De Heer non sa fermarsi alla forma del corto o del medio metraggio e, nella successiva ora e passa di film, mette in scena le consuete disavventure picaresche che capitano alla persona fuori dal mondo che si trovi alle prese con la nostra società odierna: come lo “Starman” di John Carpenter o il “Mr. Crocodile Dundee” a New York, ma anche come “ I visitatori” medievali (mi riferisco al film con Jean Reno) o addirittura al Pippo Franco extraterrestre di “Ciao Marziano”, il protagonista ha comportamenti che risultano inconsulti relativamente alle usanze di una città occidentale d’oggi (nel caso di specie, Adelaide) ed in qualche caso muovono al riso, ma risentono di una pro grammaticità forzosa che si avverte in maniera più che stridente. Il personaggio di Bubby è talmente fuori dagli schemi da riuscire a diventare una rockstar: idea stimolante, ma francamente poco credibile. Così come poco verosimile appare la sequenza del pranzo a casa dei genitori di Angel. Qualche momento riuscito (la prima esibizione musicale) ed addirittura commovente (la morte del secondo micino) non sopperisce ad una settantina di minuti che accumulano particolari poco digeribili e talvolta scontati.

 

La trama

Bubby è un ragazzone ritardato di trentacinque anni, che non è mai uscito di casa, poiché la madre, l’unica persona che abbia mai visto, l’ha convinto che fuori c’è un’aria velenosa che uccide chi la respira. Il giovanotto è completamente succube della mamma, che lo lava, lo rade e se lo porta a letto, in tutti i sensi. Bubby, però, qualche dubbio se lo pone. Ad esempio, quando si accorge che l’amato micio è venuto da fuori, domanda alla genitrice come ciò sia possibile; e quando quella gli risponde che è risaputo che i gatti non respirano, il giovane avvolge la bestiola nel Domopak e lo soffoca. Accortosi di questo strano effetto, Bubby applica il “trattamento Domopak” anche nei confronti del padre, ricomparso a casa dopo trentacinque anni, ed impadronitosi della madre e del letto coniugale. Liberatosi dei genitori, Bubby se ne va per il mondo, armato soltanto dell’abito da predicatore del padre (con il quale, da un certo punto in avanti si identifica, facendosi chiamare Pop) e di uno smisurato amore per le donne dalle tette enormi.

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