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The Beatles: Get Back

1 stagioni - 3 episodi vedi scheda serie

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La recensione su The Beatles: Get Back

di wundt
10 stelle

Nel 1969, gennaio, i Beatles sono già un gruppo sfasciato, diviso al proprio interno dalle leadership di Paul MacCartney e John Lennon, dal bisogno d'attenzione (giustificatissimo) di George Harrison e dalla ciondolante malavoglia di Ringo Starr. L'anno prima era uscito il mitologico "White Album", a seguito di un altrettanto mitologico viaggio in India, che nonostante lo status di capolavoro è un lavoro spezzettato, non da band, ma da solisti che si riuniscono sotto un solo nome. Ognuno portava la propria veduta artistica, il proprio modo di lavorare, la propria visione musicale: tutto insieme, miscelato ben bene ed ecco pronto il suddetto "White Album". Ma la band è divisa soprattutto da un punto di vista artistico, non personale (a parte il celebre "effetto collaterale" a nome Yoko Ono) e la voglia di provare a fare qualcosa insieme c'è ancora, anche grazie alla televisione che propone al gruppo l'idea di uno show televisivo da preparare in due settimane e 14 nuove canzoni. Impresa fin da subito improbabile. Lo studio per le prove è quello freddo e impersonale di Twickenham, ma ben presto la band si sposterà nei più comodi (e minimi) studi della Apple di Londra, abbandonando pian piano l'idea dello show televisivo e progettando, invece, l'idea di un nuovo album. Ora, il primo mese di lavoro (appunto, gennaio 1969) vede la creazione di canzoni che saranno la colonna vertebrale del loro ultimo album, "Let it be" (1970) che culminerà col celebre concerto sul tetto dello studio di registrazione. Questo mese di lavorazione venne ripreso interamente (o quasi) dalle telecamere di Michael Lindsay-Hogg, un giovane regista dell'epoca, un po' sull'idea di ciò che fece (più in piccolo) Jean-Luc Godard con i Rolling Stones ("Sympathy for the devil", 1968). Le telecamere si spegneranno a fine mese, e tutto il lavoro che porterà alla realizzazione di "Abbey Road" ci è ignoto, mentre dell'album "Let it be", pubblicato con abbondanti rimaneggiate da George Martin a gruppo ormai scioltosi, sappiamo, appunto, tutto grazie a queste "monumentali" riprese. 

 

Queste riprese vennero utilizzate in modo del tutto parziale nel 1970 nel film "Let it be - Un giorno con i Beatles" (1970) e subito accantonate: la band ormai aveva esaurito il proprio tempo. Ma Lindsay-Hogg girò 60 ore di video e 150 di audio, e siccome tali registrazioni sarebbero state gettate alle ortiche in modo del tutto inopinato, ecco l'idea di Peter Jackson (uno che si butta sempre volentieri nelle imprese più titaniche) di riproporre buona parte di quelle riprese in modo ragionato e corretto. Delle iniziali 60 ore Jackson ne riporta 7, e ne riporta quelle davvero più essenziali. In coppia col montatore Jabez Olssen (impegnati nella realizzazione per ben 4 anni), Jackson riproduce fedelmente (con una qualità dell'immagine impressionante ad altissima defizinione) quel laborioso mese di lavorazione che portò a discussioni e fuori uscite (Harrison dopo una settimana abbandona momentaneamente il gruppo), idee musicali su cui lavorare ("Get back" fu improvvisata all'impronta da McCartney e subì una lavorazione lunga tre settimane) e altre da scartare (vi è una prima versione di quella che sarà "Jealous Guy" di John Lennon). 

 

La band, seppur divisa su alcuni argomenti (lo show televisivo; il vestito da dare al nuovo album; l'idea del concerto sul tetto) appare davvero affiatata, e alcune occhiate tra McCartney e Lennon "tradiscono" un'intesa professionale (e umana) ancora fortissima, ed in effetti alcune canzoni nascono proprio dalla loro intesa ("I've got a feeling"; "Dig a pony", ma anche la tribolata "Don't let me down").Palesi le dinamiche all'interno del gruppo: McCartney gestiva la band quasi fosse il boss; Lennon seguiva a ruota; Harrison soccombeva pur portando alcune idee (alcune inopinatamente scartate: vedasi "All things must pass"); Ringo annuiva ed eseguiva (tranne in una sola occasione: un precedente viaggio in Sardegna fu lo spunto di partenza per la sua "Octopu's Garden). E poi George Martin, gli assistenti al suono (tra cui, udite udite, Alan Parsons), la visita (fugace, va detto) in studio di Peter Sellers e Billy Preston, "arruolato", in modo mendace, dal gruppo (e che col suo suono darà una veste più "netta" a brani come "Let it be"). Molta musica, molte chiacchiere: potrebbe andare avanti all'infinito, non stanca mai.

 

Originariamente pensato per un solo episodio, e pensato per le sale cinematografiche, a causa del Covid venne posticipata l'uscita dal 2020 al 2021, ma finì in streaming sulla piattaforma Disney Plus. In tre puntate. Lunghe (la prima dura 156'; la seconda 173'; la terza 138'). Le prime due sono in studio (prima a Twickenham, poi a Londra) e sono, forse, le migliori. La band, tra una prova e l'altra, sdottora su ogni argomento possibile, poi litigano, infine scopriamo che "Get back" nasce come risposta ai movimenti anti-immigrati (nulla è cambiato, pare, con oggi) che riempivano le piazze d'Inghilterra e la politica della Perfida Albione; poi un filmato, preziosissimo, dell'anno prima riguardante il loro viaggio in India. E le canzoni: in tutto il documentario ne cantano, a spizzichi e bocconi, 110. Una cinquantina sono loro opere, le altre sono canzoni altrui (Elvis, Dylan, Eddie Cochran, Chuck Berry, e via discorrendo), più alcune considerazioni sul altri gruppi, tra cui la "finta" rivalità con gli Stones, l'apprezzamento per i quasi esordienti Fleetwood Mac, le bonarie prese in giro a The King of Rock'n' Roll Elvis Presley, la voglia di lavorare (mai soddisfatta) con Nicky Hopkins ed Eric Clapton pronto a subentrare dalla panchina nel caso l'addio di Harrison fosse stato definitivo. Oltre ad aspetti più meramente tecnici: la nuova strumentazione ad 8 piste che Glyn Johns (produttore incaricato di montare l'album) propone al gruppo (con risultati, inizialmente, discutibili). 

 

Le tre puntate (si tratta, all'osso, di una serie televisiva) sono quanto di migliore, a livello documentaristico, si possa volere, e certo 7 ore sono impegnative, nonostante il flusso d'immagini (e musica) sia liscio come l'acqua di un ruscello, e non ci siano né tempi morti né momenti di pausa (anzi, alcune chicche fanno venire l'acquolina in bocca: si veda la discussione tra Lennon e McCartney che viene registratata grazie a dei microfoni nascosti, all'insaputa dei due) e c'è da ringraziare Peter Jackson per il lavoro certosino e meticoloso che ha portato ad una fluviale, ma indispensabile, opera di divulgazione storico-musicale. Non sfuggo alla domanda che tutti si staranno ponendo: ma il concerto sul tetto della Apple di Londra c'é? Certo. Terza puntata, ultimi 45 minuti. Ed è come non l'avete mai visto, perchè le telecamere che vennero installate in strada furono utilizzate per delle brevi interviste ai passanti (fino ad oggi mai proposte). Un pezzo di storia inglese, tra giovani in delirio, qualche anziano compiacente ("Vorrebbe che sua figlia sposasse uno dei Beatles?"; "Perchè no? Sono ricchi"), una trentina di segnalazioni per disturbo della quiete pubblica e due giovani poliziotti che chiesero, senza molta "autorità", ai tecnici della Apple di spegnere la musica, o quantomeno di abbassarla. E' tutto qui, all'interno di "The Beatles: Get Back". Imperdibile. 

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