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L'Anno del Dragone - 40 anni dopo
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A 40 anni dalla sua uscita, L’anno del Dragone di Michael Cimino, rappresenta più che mai  una testimonianza del cinema del grande regista americano e di un’epoca intera: uscito in pieno decennio reaganiano, in quegli anni 80 così iconici e, per certi versi, fatidici (per come hanno cambiato l’immaginario, il cinema, la tv, gettando semi che germoglieranno decenni dopo, che dall’edonismo di allora porteranno al neo-edonismo social e monadico di oggi) L’Anno del Dragone è un po’ il seguito de Il Cacciatore e de I Cancelli del Cielo, pietre miliari del cinema di Cimino e non solo. Quasi la chiusura di una trilogia che va a naufragare nel decennio a lui più antitetico. Lui, come il protagonista del film, così irriducibile e inconciliabile con tempi così diversi dagli anni 70, in cui videro la luce gli altri 2 film e il cinema stesso del regista.

 

Ariane, Mickey Rourke

L'anno del dragone (1985): Ariane, Mickey Rourke

 

Stanley White (Mickey Rourke, che in quegli anni era uno dei più grandi attori in circolazione) è il nuovo sceriffo in città, il capitano della polizia assegnato al quartiere di Chinatown a NY, un reduce decorato dal Vietnam per il quale in fondo la guerra non è mai finita: la ritrova come un fantasma, in casa, a Chinatown, dove ha luogo un sanguinoso cambio ai vertici nella Mafia Cinese (che ufficialmente non esiste, un fantasma anch’essa...). Un’esplosione di violenza che per White è una dichiarazione di guerra. Non saranno Vietcong, ma sono sempre dei “gialli” come li chiamerà per tutto il film: è la sua occasione di rivincita dopo la cocente sconfitta vietnamita. In fondo sono i tempi di Rambo, il reduce che, 3 anni prima, aveva ritrovato il Vietnam anche a casa.

Vietnam che investirà l’intero decennio, in forma di grande rimpianto  (“potevamo vincere ma non ce lo hanno lasciato fare dice Rambo, per poi provare a rifarsi con una nuova missione proprio in Vietnam, in Rambo 2, anch’esso del 1985) di grande rimorso (il successo riparatorio di Platoon e di tanti altri film che fioccheranno in questa sorta di terapia collettiva e cinematografica) e al contempo di grande rimosso: tutto l’edonismo reaganiano degli anni 80 è una reazione alla contestazione sessantottina e al Vietnam, e prende il ripiego privatistico e arrendevole degli anni 70 degli ex-contestatori, trasformandolo in culto positivo dell’individualismo più aggressivo, in quella Cultura del Narcisismo di cui parla Christopher Lasch nel libro omonimo (uscito non a caso alle soglie del decennio, nel 1979)

 

Il grande rimosso, tema ricorrente in Cimino: ad un certo punto del film, Rourke ricorda che tantissimi cinesi lavorarono come schiavi per costruire le ferrovie durante la Conquista del West, finendo in fosse comuni e scomparendo così dalla Storia e dalle fotografie ufficiali. White è furioso per questa ingiustizia e per il fatto che questi Cinesi sembrino quasi tenerci a restare nell'anonimato. E quando aggiunge Questo è un paese che non ricorda mai nulla, non si può non pensare a Jeff Bridges ne i Cancelli del Cielo quando dice: E' un paese dove sta diventando pericoloso essere poveri. Siamo a fine 800 ma sembra parlare amaramente del 1980: è l'inizio dell'era Reagan, e Cimino e il suo capolavoro western non la passeranno liscia.

 

Mickey Rourke, Ariane

L'anno del dragone (1985): Mickey Rourke, Ariane


Dopo 5 anni dal “flop” e dallo “scandalo” de I Cancelli del Cielo, grazie ad un altro outsider come il nostro Dino De Laurentis, Cimino riesce, malgrado tutto, a realizzare, con “L'anno del dragone”, ciò che vuole: una grossa produzione, con una parentesi persino in Asia (il classico momento western, immancabile nei suoi film), sfoderando una grande ricchezza di soluzioni stilistiche, di colori, di comparse, di movimenti di macchina, e imprimendo un'energia aggressiva e furiosa alla pellicola, sorta di noir incandescente, dove le pennellate di sangue e luci sembrano schizzi sulla tela di un Pollock impazzito e incazzato, lanciati nella mischia per disegnare un campo di battaglia dove Cimino può mettere in scena, attraverso l'irrequieto, istrionico, magnetico personaggio di Rourke, il suo conflitto a specchio col suo nemico cinese, e con le illusioni infrante del sogno americano.
In una condizione ontologica dove il Vietnam non finisce mai, e in fondo è solo un tassello di una storia piena di violenza, emarginazione, discriminazione, etnie e individui mai integrati.

Una storia che per Cimino sembra essere ancora in via di svolgimento. Prima era la Frontiera, poi la Guerra, ora la lotta per la sopravvivenza, la sopraffazione e la supremazia in quel campo di battaglia che si chiama Chinatown, New York , o forse America.

 

40 anni dopo, “L’Anno del Dragone” possiede una complessità controversa eppure lucidissima, che ancora oggi non ha perso la sua forza dirompente. Perché è un film ambiguo, irrisolto, contraddittorio in apparenza, in realtà pieno di sfumature.

Pensiamo a Stanley White (Bianco come il fardello dell'uomo bianco di Kipling, nel suo incontro/scontro con l'altro, lo straniero): non è il solito WASP, ma un polacco, cioè l’ennesimo “slavo” dei film di Cimino. Russi erano i ragazzi de Il Cacciatore. Bielorussi, Ucraini, Ungheresi gli immigrati de i Cancelli del Cielo. Come se fossero i bianchi di serie B, gli esclusi dalla piramide del potere che vede gli anglosassoni in cima e gli altri a scendere.


Quella di Rourke/White è una lotta di classe ai tempi di Reagan: si combatte da soli. Ma se Charlie Sheen in Wall Street e Michael J Fox ne Il segreto del mio successo scalano da soli la piramide sociale, White vuole solo ordine in un caos dove non c’è più la famiglia de “Il Cacciatore” o la comunità de “I Cancelli del Cielo”. E il Sistema, che lui difende, lo ha abbandonato come un corpo estraneo, come i Blue Collar di Paul Schrader o i reduci a la Rambo, persona non grata in una Società ingrata, uno tutto matto (come dirà la giornalista a Rourke alla fine).
E così White, per tutto il film, continuerà a cercare, inseguire, sparare, fino alla fine e forse oltre, perso lì fuori, nella wilderness della metropoli, come un moderno Ethan Edwards o come Gene Hackman alla fine de Il Braccio Violento della Legge.

Mickey Rourke, John Lone

L'anno del dragone (1985): Mickey Rourke, John Lone


L'anno del Dragone, rivisto ora, è ancora di più un neo-noir, un film politico, uno spaccato sociologico dell'Homo Americanus del tardo Novecento, declinante alle soglie di un nuovo Millennio che sembra tardare ad arrivare, tanto è ancora grave il peso del Passato. Rourke incorpora tutte le contraddizioni dell'eroe individualistico eppure idealista di Cimino. Con quel volto troppo umano, crocevia di rabbia, tenerezza, lucidità, sete di vendetta, intolleranza e senso del sacrificio per un bene comune di cui a nessuno sembra più fregare nulla.
Abita con la sua energia scomposta e sbraitante un film che spiazza come il suo protagonista imprevedibile. Considerato al contempo un atto d'accusa contro l'America e un film razzista e fascista, benché la sceneggiatura porti la firma di Oliver Stone, che da lì a poco emergerà invece nel Sistema come una figura quasi sovversiva e "rossa".

 

Una pellicola che sicuramente non concede facili soluzioni conciliatorie, non crede alla convivenza pacifica tra culture diverse e prova a scavare in mezzo a queste contraddizioni rappresentate da quella bandiera americana che il protagonista scorge fuori dal suo ufficio proprio mentre un suo collega lo rimprovera di combattere contro i mulini a vento. Ma White non ci sta e va avanti. White ha una scintilla di lucida follia negli occhi.

Proprio come fece Cimino con i suoi magnifici film, sfide visionarie e suicide, magnifiche ossessioni che, nel cinema d'oggi (e forse già da un pezzo) sembra si abbia sempre meno la capacità e il coraggio di concepire, di inseguire e di mettere in scena.

 

 

 

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