Berlino accoglie un nuovo film destinato a lasciare il segno: The Good Sister che, diretto da Sarah Miro Fischer, si inserisce nel programma Panorama della Berlinale 2025 con un’intensità emotiva e narrativa che sfida lo spettatore a guardarsi dentro. Il film affronta un tema difficile e spesso taciuto: la responsabilità morale di chi sta accanto ai carnefici, di chi, pur non essendo direttamente coinvolto, subisce l’eco delle loro azioni.
The Good Sister (2025): Anton Weil, Marie Bloching
Tra legami di sangue e senso di giustizia
Al centro della storia del film The Good Sister c'è Rose, interpretata da Marie Bloching (il cui talento, sottolinea la regista, risiede nella sua capacità di bilanciare istinto e razionalità in scena). Rose non è la vittima diretta di una violenza, ma suo fratello lo è: non come vittima, bensì come carnefice. Quando un’accusa di violenza sessuale sconvolge la sua famiglia, la protagonista è costretta a confrontarsi con la realtà di un legame fraterno che si sgretola sotto il peso della verità.
Il film esplora il tormento interiore di Rose: il senso di colpa, il dubbio, la paura di ammettere che il mostro di cui si parla potrebbe non essere così lontano, ma dentro casa. "Cosa succede quando chi amiamo viene accusato di un crimine?", si chiede Fischer. "Siamo disposti a guardare in faccia la realtà o continueremo a cercare scuse per chi ci è vicino?".
Linguaggio del corpo e introspezione
Il tratto distintivo del film The Good Sister è il modo in cui Fischer usa la macchina da presa per amplificare il senso di oppressione e isolamento di Rose. La regia predilige movimenti fluidi e soggettivi, che si fanno via via più statici e claustrofobici man mano che la protagonista si addentra nel conflitto interiore. "I personaggi finiscono spesso incorniciati da porte e finestre, riflessi in specchi e vetri, come se il mondo attorno a loro si stringesse sempre di più", spiega la regista. Anche il suono gioca un ruolo essenziale, accompagnando il viaggio emotivo di Rose con un sottotesto uditivo che ne enfatizza le paure e le contraddizioni.
Domande, non risposte
La sceneggiatura, scritta dalla stessa Fischer insieme ad Agnes Maagaard Petersen, evita facili moralismi. Il film The Good Sister non si chiude con una verità assoluta, ma lascia il pubblico a interrogarsi sul proprio ruolo nella società: siamo davvero estranei alle tragedie che ci circondano? "Molti pensano di non avere potere", dice la regista. "Vedono qualcosa di sbagliato e credono di non poter fare nulla. Ma non è così. Tutti possiamo cambiare le cose".
L’apertura del film al dibattito è forse il suo aspetto più potente. La domanda sollevata da Fischer durante una manifestazione, che ha ispirato l’intero progetto, riecheggia a Berlino: "Perché conosco così tante vittime e nessun colpevole?". La risposta non è semplice, ma The Good Sister obbliga a riflettere e, soprattutto, a guardarsi dentro.
Scuotere le coscienze
Nel panorama del Festival di Berlino, noto per dare spazio a narrazioni coraggiose e tematiche scottanti, The Good Sister si impone come una delle pellicole più discusse di questa edizione. La sensibilità con cui il film tratta il tema della violenza sessuale e delle sue conseguenze sociali lo rende un’opera necessaria e di grande impatto.
La performance di Marie Bloching e Anton Weil, il fratello accusato, porta sullo schermo un rapporto ambiguo e complesso, carico di tensione e dolore. La loro alchimia è frutto di un intenso lavoro preparatorio, come racconta Fischer: "Abbiamo dato loro il tempo di costruire un passato comune, di stabilire un rapporto vero, fatto anche di segreti che il pubblico non conoscerà mai".
Con un equilibrio tra emozione e lucidità, The Good Sister si candida a essere uno dei film più discussi e di questa Berlinale, dimostrando ancora una volta come il cinema possa essere uno specchio potente della realtà, capace di scuotere le coscienze e stimolare il cambiamento.
The Good Sister (2025): Anton Weil
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