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A scuola dalla stregone (The teachings of Don Juan)
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Nella nostra società, dominata dall’alcool, tutte le altre sostanze che alterano la coscienza sono ritenute delle “droghe” e per questo proibite. E sono vittime del peggiore dei tabù. Quello dell’ignoranza.

Il nostro è solo un problema di luogo. Nell’occidente europeo è stata la vite la pianta che ci ha regalato la nostra alterazione della coscienza. Prima il vino, poi gli alcolici. Questa “droga” legale è l’unica che ci è permessa. Insieme al tabacco che, però, non crea nessun cambiamento cognitivo.

Nel Messico e nell’America Latina la situazione è molto diversa. I popoli di queste terre conoscono da sempre i benefici e i poteri di altre sostanze naturali.

E mi riferisco, in questo caso, al peyote e ai funghi allucinogeni.

Colpito da queste considerazioni e da una sana curiosità, Carlos Castaneda, l’autore di questo libro e all’epoca studente di antropologia, partì alla volta del Messico per approfondire le sue conoscenze sulle piante medicinali di quelle zone. Durante uno dei suoi viaggi incontrò l’indiano Yaqui, Don Juan, un brujo che lo iniziò ai segreti che custodiva e che cercò di insegnargli la sua conoscenza attraverso un apprendistato che durò diversi anni. 

The teachings of Don Juan si divide in due parti. La prima (per me la più interessante) è sotto forma di diario e racconta tutte le esperienze che Castaneda intraprende sotto la guida del suo maestro. La seconda parte, invece, è uno studio sistematico e scientifico sull’argomento, di stampo antropologico ed etnografico, che cerca di mettere chiarezza in una maniera che potremmo definire accademica a uno stato di cose per molti versi incomprensibile alla nostra coscienza ordinaria e alla logica comune.

I brujos (e le brujas) e gli sciamani (medicine men), grazie al peyote, ai sacri funghi (psylocibe mexicana) e alla yerba del diablo (Datura Inoxia, che è un’altra pianta usata per scopi divinatori) scoprirono la possibilità di entrare in un mondo altro, diverso dal nostro e ad esso complementare e parallelo, dove era possibile avere esperienze non ordinarie, acquisire potere e apprendere una nuova via per comprendere la nostra realtà (e le molte altre che esistono insieme ad essa.)

Il peyote, per Don Juan, è un maestro. Il suo spirito, chiamato Mescalito, insegna all’uomo attraverso delle visioni. I funghi psilocibinici e la Datura sono alleati e possono aiutare l’uomo nei suoi compiti.

Il peyote non viene mai preso da Don Juan e dagli altri indiani per finalità ricreative ma solo come mezzo di un processo ben specifico, quello per diventare un uomo di conoscenza . Altre volte si ricorre al peyote affinché Mescalito risponda a delle domande e dia consigli, attraverso cerimonie che durano per tutta la notte. Per non dimenticare poi anche le capacità curative di questa antichissimo cactus.

 

 

La bellezza unica di questo libro è nella semplice eppure profonda saggezza di Don Juan. Un uomo tanto lontano dalla nostra cultura quanto capace di parlare in una maniera così universale, limpida e diretta a ognuno di noi. Le sue parole toccano la nostra anima, rivelandoci pensieri e concetti che per la loro chiarezza ci appaiono stupendi, se siamo pronti ad abbandonare tutti i preconcetti che ci hanno insegnato. 

La strada da seguire, secondo Don Juan, dovrebbe essere quella che ha un cuore. E ciò farà si che il nostro viaggio sia lieto. Ci sono migliaia strade ma alcune hanno un cuore e altre no. E spetta a noi imparare come riconoscerle.

Dice Don Juan - “Guarda ogni strada attentamente e deliberatamente. Mettila alla prova tutte le volte che lo ritieni necessario. Quindi poni a te stesso, a te stesso soltanto, una domanda. Questa è una domanda posta solo da un uomo molto vecchio. Il mio benefattore me la ha detta una volta quando ero giovane, e il mio sangue era troppo vigoroso perché la comprendessi. Ora la comprendo. Ti dirò cosa è: Questa strada ha un cuore? Tutte le strade sono uguali; non portano da nessuna parte. Sono strade che passano attraverso la boscaglia o che vanno nella boscaglia. Nella mia vita posso dire di aver percorso strade lunghe, molto lunghe, ma io non sono da nessuna parte. La domanda del mio benefattore ha adesso un significato. Questa strada ha un cuore? Se lo ha la strada è buona. Se non lo ha, non serve a niente. Entrambe le strade non portano da nessuna parte: ma una ha un cuore e l'altra no. Una porta a un viaggio lieto; finché la segui sei una sola cosa con essa. L'altra ti farà maledire la tua vita. Una ti rende forte; l'altra ti indebolisce."

Castaneda si sofferma in maniera dettagliata e precisa su tutti i vari rituali di raccolta e preparazione delle varie sostanze, descrive molto bene le sue esperienze e le sue visioni e ha soprattutto il grande merito di mettere per iscritto e quindi di tramandare una cultura (come dicevo molto diversa dalla nostra) che altrimenti sarebbe andata perduta.

Un libro fondamentale per capire quanta ignoranza ci sia da noi su questi argomenti. Il peyote e i funghi magici sono considerate “droghe” al pari della cocaina e dell’eroina dalla nostra legislazione. Un libro fondamentale per ridare la giusta dignità e il giusto collocamento a queste piante sacre, che altri popoli trattano con il massimo rispetto e la massima considerazione.

Un libro che emozionerà come pochi, per le parole del vecchio Don Juan o semplicemente per la possibilità di entrare in quei mondi, tra il fantastico e lo spaventoso, che i potenti di oggi vogliono impedirci di conoscere e vedere.

 

 

A metà degli anni ottanta successe qualcosa di incredibile, Carlos Castaneda e Federico Fellini si incontrarono. Prima a Roma e poi negli Stati Uniti. Soltanto l’idea che Fellini avesse avuto in mente un progetto filmico su Castaneda è da ritenersi incredibile (o stupefacente se rimaniamo nel campo delle sostanze). Fellini aveva provato l’acido lisergico ed era interessato anche all’uso del peyote e più che altro era affascinato dai mondi fantastici descritti da Castaneda - Dice Fellini in un’intervista a Claudio Lazzaro - “Era una mia vecchia idea: fare un film tratto dai racconti di Castaneda, A scuola dallo stregone, Viaggio a Ixtlan, Una realtà separata. Nel giro degli anni avevo tentato di mettermi in contatto con questo autore: impresa totalmente impossibile, che rendeva però più affascinante sia la ricerca sia l’ipotesi di fare un film tratto dai suoi libri. Sembrava che il personaggio non esistesse veramente. Amici americani che avevo messo sulle sue tracce e anche il suo stesso agente letterario, un certo Ned Brown, e uno dei direttori editoriale della Simon e Shuster, la casa che ha pubblicato tutto il ciclo di Castaneda, davano su di lui notizie così contrastanti che rendevano il personaggio ancora più misterioso e affascinante di quelli dei suoi libri. Questo editore sosteneva di non averlo mai incontrato, di non averlo neppure mai visto. Nell’unica sua fotografia esistente, l’asterisco segnava contemporaneamente tre teste diverse. Bisognava rispondere come in un quiz: quale di queste appartiene a Castaneda? Il suo agente mi raccontava che una volta all’anno un indio, sempre diverso, veniva a consegnargli un dattiloscritto. Ned Brown sapeva che doveva portarlo all’editore, l’editore sapeva che doveva stamparlo e gli utili, i diritti, dovevano essere inviati a una certa banca messicana. Uno dei miei incaricati mi aveva detto di averlo rintracciato, ma gli avevano riferito che Castaneda era da tempo rinchiuso in un istituto psichiatrico perché l’uso delle droghe lo aveva fatto uscire di senno.”

Del film poi non se ne fece più niente, rimase quindi un bellissimo progetto incompiuto. Restano però due opere ispirate da questa esperienza. La prima è un libro a fumetti, Viaggio a Tulum di Milo Manara, basato su una sceneggiatura scritta da Fellini e Pinelli. E la seconda è un romanzo, Yucatan di Andrea De Carlo, che accompagnò Fellini nel suo viaggio in Messico. A quanto sembra l’amicizia fra i due terminò dopo il loro ritorno in Italia. Cosa realmente successe è ancora un mistero. 

 

 

 

 

 

 

 

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