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"I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E' l'invasione degli imbecilli".
Questa citazione di una frase enunciata da Umberto Eco durante una lectio magistralis a Torino è ormai abusata. E ci riguarda. 
Sì perché - volendo - siamo responsabili anche noi. Quando nel 2002 fondammo FilmTv.it, non era ancora successo nulla di quel che un giorno ci avrebbe travolto. Eppure il sito nacque subito con quell’idea: aprire alle recensioni del pubblico, permettere a ciascuno di dire la sua. Se tendessimo alla vanagloria potremmo dire di essere stato visionari, di essere stati in anticipo sui tempi. Facebook sarebbe nato due anni dopo (ma in italiano sarebbe arrivato 8 anni dopo): per Twitter si sarebbe dovuto aspettare il 2006. 

 


Ma siccome preferiamo essere modesti potremmo dire che interpretammo solo - declinandolo nel mondo della critica cinematografica - qualcosa che era nell’aria, che stava succedendo.
Non potevamo renderci conto di quanto quel qualcosa nell’aria avrebbe modificato tutto il nostro vivere e le nostre interazioni sociali. E non serve giustificarsi e dire che ne siamo fuori: anche chi non usa Facebook o i social media è comunque dentro fino al collo. Senza la rivoluzione del web 2.0 - il web partecipato, quello che a partire dai blog e culminato nei social media è divenuto il modello stesso del web odierno - non ci sarebbe la società di oggi. Non avremmo probabilmente nemmeno questa situazione politica internazionale e nazionale: questi partiti e questo governo, che vi piaccia o no. Quindi inutile accampare scuse. Siete lo stesso coinvolti

Cosa c’entra questo in una newsletter di cinema? Rispondo subito: c’entra proprio perché FilmTv.it non è un sito di cinema qualsiasi. È un sito partecipato. Un sito che senza gli utenti come parte attiva del gioco sarebbe un contenitore quasi vuoto, una cornice senza quadro. 
Ai giornalisti di cinema, ai critici, ai professionisti del settore la cosa non è mai andata tanto giù. Si sono sentiti minacciati e, del resto, la minaccia era reale. Qualcuno, il pubblico, invadeva il loro campo e da pagante si trasformava in parlante. I critici professionisti avevano tenuto fino ad allora il microfono ben stretto tra le loro mani e qualcuno di colpo glielo strappava. È chiaro che si poneva - e si pone e sempre si porrà - il tema delle competenze: in genere chi sceglie di fare della critica cinematografica un lavoro si suppone abbia letto e studiato e visto tutto e conosca il cinema a menadito. I generici utenti invece no (o almeno non necessariamente): tra di loro tutte le sfumature sono possibili, dalla più becera alla più sapiente. Aprire le porte significava tirarli fuori dal bar, scatenarli. 

Continuo a pensare che non sia stato un errore. Per quanto sia preoccupato dell’andazzo attuale, per quanto capisca quanto l’espressione di Eco abbia una sua valenza e mi senta di sottoscriverla nonostante possa essere tacciata di elitismo, per quanto mi renda conto di come oggi la competenza sia svilita, quasi come fosse una colpa, e del fatto che la parola intellettuale, - che dovrebbe esprimere una delle più alte qualità dell’essere umano - sia oggi divenuta quasi un’accusa (intellettualoide, dicono, con disprezzo), comunque credo che non sia stato un errore. Perché lo spettatore comunque una sua competenza ce l’ha. È un utente - non solo del sito - ma soprattutto del cinema, che a lui è destinato. Ed è il massimo competente di una cosa: il suo sguardo, il suo apprezzamento. Recensire un film non significa proporre soluzioni per problemi di cui non si conosce la profondità: significa solo testimoniare la propria visione. Non c’è errore, non c’è falsità: certo ci può essere superficialità, ma ci può anche essere competenza. E avere tante voci da ascoltare e sempre meglio che averne una sola, come era una volta, quando il giudizio di un critico pubblicato su un quotidiano nazionale poteva in parte determinare le sorti di un film. 

Io dico che abbiamo fatto bene. E voi, oggi, a distanza di oltre 16 anni da quando prendemmo quella decisione, che ne pensate?

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