Accendo il computer. Sono deciso a vedere un film che sto cercando da tempo, legalmente o no. Finalmente lo trovo, lascio immaginare a voi in quale dei due modi riesco a gustarmelo. Due ore e mezza dopo finisce. Mi accascio sulla sedia, costernato. Bellissimo. Il film in questione è The Raid 2: Berandal di Gareth Evans, secondo il mio modesto parere, un grandissimo film, d'azione e non. Ma qui sorge il problema: la pellicola è un grande successo nel resto del mondo, come il suo prequel, ma qui non è considerata degna delle sale. Il primo The Raid è uscito straight to video l'anno scorso, dopo che in America e in Inghilterra aveva, sorprendentemente e giustamente, fatto un gran successo. Come mai? Non ci è dato saperlo. Ma ci è dato sapere che un film d'azione violenta di questa fattura non lo vedevamo da tanto tempo. Tra supereroi e Transformers, c'è pochissimo spazio riservato al cinema action a Hollywood. Ancora meno riservato a quello di qualità. Così, dall'Indonesia ecco arrivare qualcosa di già visto. Un film di arti marziali, il cui soggetto è tra i più semplici mai visti al cinema. Ma c'è qualcosa di diverso: la regia fenomenale. Evans, oltre ad aver coreografato i combattimenti di entrambi i film, filma l'azione meglio di Woo, di Lee e, nel complesso, anche di Yimou. Siamo davanti a qualcosa di davvero valido e di qualità elevatissima, come dicono a Londra. Il successo è grande. L'internet cinefilo esplode. Ma in Italia neanche l'ombra. Solo l'anno scorso, tra gli scaffali meno frequentati, appare un film d'azione dura e pura, che leggendo la trama sembra una pellicola di serie B anni 70 (senza togliere niente a Fulci). The Raid: Redemption è un gran film, forse troppo ridondante, ma rimane pur sempre un gran film. Così, a due anni di distanza, Evans lo rifà, e il successo (sempre all'estero, che sia chiaro) è ancora una volta grande. IL secondo film rasenta il capolavoro. Potrà non piacere, sarà anche troppo lungo per alcuni, ma The Raid 2: Berandal è un film fantastico. Il tempo reale e l'unica location del primo film si espandono come la durata, e il risultato è un'opera unica, lunga, ma non prolissa, drammatica, ma pervasa da un sottile humor nero, che riesce a coniugare alla perfezione il genere Gangsteristico all'azione più violenta e riuscendo a non sacrificare la psicologia dei personaggi. E anche quando diventa un classico "buono picchia i cattivi" non scade mai nel banale e, mentre lo si guarda, sembra di essere spettatori di qualcosa mai visto prima, cosa assolutamente non vera. Ma sta proprio qua la bravura di un regista: nel prendere cose già sfruttate, magari anche estranee al proprio genere (il melodramma in Kill Bill Vol. 2) e farle proprie. Questo è ciò che hanno fatto registi recenti come Quentin Tarantino o Edgar Wright. Ed è anche ciò che ha fatto Gareth Evans con il suo terzo film. Una sarabanda di sangue, complotti criminali e uccisioni piene di inventiva che per essere compiute viene utilizzato qualsiasi tipo di oggetto: una palla da baseball, i classici martelli, ma persino fornelli o cinture automobilistiche. E' proprio in quest'ultima sequenza che il regista (e sceneggiatore e coreografo, è bene ricordarselo) dà il meglio di sè, in uno degli inseguimenti di macchina più coinvolgenti e meglio diretti della storia. E se pensate stia esagerando, vi sbagliate perché questo è uno dei film più belli degli ultimi anni, un segno che il cinema di genere, seppur senza forze, non è ancora morto. E invito ognuno di voi ad andarselo a vedere, finché la distribuzione italiana non ci dia il permesso di recuperarlo legalmente.


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