All'uscita dalla sala, magari riosservando con piglio più critico la locandina de "La donna della mia vita", ci si rende conto di quanto essa proponga una visione semplicistica e alquanto riduttiva del film di Luca Lucini. Confinare infatti l'ultima fatica del regista di "Solo un padre" e "Oggi sposi" entro gli occlusivi e spigolosi margini di una 'storia a tre' appare improprio già dai primi minuti, densi ed efficaci, girati con capillare originalità e grande padronanza, quasi come a voler preventivamente destare quanti si sono infilati in sala con l'idea di fagocitare (per poi dimenticare alla velocità della luce) l'ennesimo, intorpidito e trito prodotto del nostro cinema (peggiore). E invece no, perché si é subito accattivati da un'originalità sottesa e briosa, il vero collant stilistico del film: la sequenza iniziale (e finale) della Sandrelli che parla in camera, quasi un calco dei primi fotogrammi del recente "La passione" di Mazzacurati, la frizzante caratterizzazione del depresso e aspirante suicida Leonardo (Luca Argentero) e del suo incontro/innamoramento (?) con Sara (Valentina Lodovini), in bilico tra mossette e ticchettii nevrotici, tra ravvicinati primi piani e occhioni lacrimosi, sono solo le prime avvisaglie di una commedia (davvero) di qualità, venata di occasionali sfumature surreali e di un garbato umorismo situazionale che volge spesso e volentieri uno sguardo ammiccante alla gloriosa sophisticad comedy à la Cukor, per ammissione dello stesso Lucini. Senza dimenticare mai, però, il legame profondo con la tradizione della commedia all'italiana. Quel sostrato intimo e viscerale col quale é impossibile non confrontarsi e che Cristina Comencini, autrice del soggetto e figlia (naturale) di quei trascorsi indimenticati, tenta di riesumare ordendo una storia sorprendente, densa di colpi di scena e di virate radicali e sovversive, che non risparmiano neanche la psicologia dei personaggi: su tutti a essere ''ridefiniti'' nel marasma di tradimenti assortiti e relazioni sovrapposte (negli anni) sono proprio i due fratellastri, Gassman e Argentero, etichettati con affettuosa approssimazione dalla madre Alba (Stefania Sandrelli), che con piglio bonario si impone di ricondurre le loro attitudini comportamentali a quelle dei due differenti mariti dai quali li ha avuti. Il secondo marito di Alba, Sandro (un Giorgio Colangeli impeccabile, finalmente molto più che caratterista), taciturno e ben deciso a esorcizzare i fantasmi senili, coltiva dal canto suo una relazione extraconiugale con una collega e vive con l'ossessione implosa delle laboriose "formichine" cinesi e del torrone dietetico. Sara, (seconda) violoncellista di un’orchestra, si ritrova fidanzata con il peluche Argentero, il classico “ragazzo perfetto” (???), ma ha ancora innegabilmente addosso i traumi da amante trascurata che hanno contraddistinto la sua relazione con Giorgio (un ottimo Gassman, che nella prima parte si affida alla cialtroneria amatoria che fu del padre Vittorio), ginecologo e amante ‘poliedrico’ sempre attaccato al cellulare per sedare le concubine recalcitranti, moglie (quasi) incinta a carico e, non ultimo, fratellastro di Leonardo. Con coraggio e dedizione, Lucini dilata al massimo la tensione derivante da una girandola così arroventata di equivoci taciuti, sovrappone due storie familiari generazionali e parallele e convoglia i palpiti e le arrabbiature represse in un salotto, scantonando perfino nella scazzottata. Da buon mestierante distilla un’azzeccata colonna sonora ma interseca anche le scene ‘giuste’ con la giusta tempistica, lasciando trapelare un implicito giudizio anche solo di natura contemplativa. Nel finale, tenerissimo, sopravvive solo l’amore vero, si legittima la bugia detta a fin di bene (familiare), e la Sandrelli, pilastro portante del film per spessore psicologico e naturalezza recitativa (quella che ancora manca alla pur gradevolissima Lodovini), finisce con l’affidare il segreto più occulto dell’intreccio al tanto atteso e strombazzato neonato Ludovico, l’unico ‘personaggio’ semimuto e ancora incapace di mentire. Sarcasmo (d’autore?) conclusivo a sormontare il tutto, per un film che quasi ci costringe a identificarci proponendoci una galleria di caratteri e personaggi vari e ben assortiti, così reali proprio perché non cristallizzati, cangianti, mutevoli.


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