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L'inquilino del terzo piano

Regia di Roman Polanski vedi scheda film

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La recensione su L'inquilino del terzo piano

di Qualcunocheadorailcinema
10 stelle

Un modesto impiegato di origine polacca, Trelkovski, è in cerca di un appartamento a Parigi. Ne trova uno abitato fino a pochi giorni prima da una ragazza, Simone Choule, morta suicida per cause apparentemente misteriose.

 

 

"The Tenant" non è solo un film: è un viaggio inquietante dentro il labile confine tra realtà e delirio, un'esperienza cinematografica che, una volta vissuta, difficilmente si dimentica. Polanski costruisce un microcosmo claustrofobico e alienante, in cui il protagonista – interpretato da lui stesso con una fragilità sottilmente disturbante – si ritrova intrappolato in un progressivo annientamento identitario, innescato dallo sguardo giudicante e deformante della collettività. Il film si svolge come un incubo ad occhi aperti, dove ogni elemento del quotidiano – un vicino indiscreto, un rumore nel muro, una tazza spostata – si carica di un’inquietudine crescente e inspiegabile.

Più che un horror in senso stretto, "The Tenant" è un'esperienza esistenziale, un lento e inesorabile scivolare nella pazzia, nella dissoluzione dell’io. L’angoscia che trasmette non esplode mai apertamente, ma si insinua piano, silenziosa, quasi impercettibile, fino a impregnare ogni scena. L’appartamento diventa una gabbia mentale, specchio di una psiche sempre più frammentata, e i vicini, figure apparentemente banali, si trasformano in presenze opprimenti, quasi spettrali. La tensione è tutta interna, viscerale, figlia di una paranoia che si alimenta della solitudine, dell’alienazione urbana, dell’idea che la propria identità possa essere lentamente erosa dagli altri, fino a scomparire.

In questo senso, "The Tenant" è forse il film più personale, intimo e disturbante del regista. Polanski raggiunge qui vette di angoscia e inquietudine che, a mio parere, superano persino quelle già altissime di Rosemary’s Baby. Se lì il terrore era legato alla maternità e alla manipolazione da parte dell’esterno, qui è l’essere stesso a crollare, senza appigli, senza redenzione. È un film che turba, interroga, e soprattutto continua a riecheggiare a lungo dentro chi lo guarda. Un capolavoro di ambiguità e sottile terrore psicologico, che conferma Polanski come uno dei più lucidi indagatori del disagio umano.

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