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Carl Th. Dreyer: Il mio mestiere

Regia di Torben Skjødt Jensen vedi scheda film

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La recensione su Carl Th. Dreyer: Il mio mestiere

di mm40
6 stelle

Un'attenta e approfondita disamina della parabola artistica di Carl Th. Dreyer, tra i massimi registi cinematografici del Novecento e figura realmente peculiare all'interno del panorama della settima arte. A parlarne sono chiamati attori e collaboratori tecnici che hanno lavorato con Dreyer e che con lui hanno inevitabilmente stretto un forte legame umano.

Che Carl Theodor Dreyer sia stato, oltre che un eccellente regista cinematografico, una persona fuori dagli schemi, questo è cosa piuttosto nota; il cineasta danese scriveva e riscriveva i suoi copioni e preparava con cura minuziosa i set delle riprese, vivendo inoltre una vita molto appartata e al di fuori di qualsiasi riflettore, rifiutando o quantomeno sentendosi inadeguato persino di fronte alle interviste e ai premi. Un breve documentario (mezzoretta di durata) di Jorgen Roos, datato 1966, risulta ancora oggi l'unica fonte diretta di informazioni sul Nostro, per una volta disposto a raccontarsi e parlare delle sue pellicole; con questo Min metier/Il mio mestiere è invece Torben Skjodt Jenses, a trent'anni di distanza, a ripercorrere la vita e le opere di Dreyer grazie alle dichiarazioni di alcuni attori e collaboratori tecnici che con il regista di La passione di Giovanna d'Arco, Ordet e Dies irae hanno avuto uno stretto rapporto. Tra di essi, Lisbeth Movin, Preben Lerdorff Rye, Brigitte Federspiel e Henning Bendtsen, oltre al già citato Roos e a Helene Falconetti, figlia di Maria Falconetti, indimenticabile Giovanna d'Arco nel film di Dreyer. Per una volta il termine Maestro non è abusato: la maniera in cui il cineasta danese viene celebrato è senz'altro doverosa e ben giustificata; neppure i suoi tic e le sue follie vengono risparmiati, d'altronde, e risultano anch'essi decisamente gustosi (per fare un esempio: Dreyer che chiama un suo attore nel cuore della notte per chiedergli se gli va bene accettare la modifica di una parola nella sceneggiatura). Curiosa la scelta di girare questo documentario in bianco e nero, ovviamente in segno di omaggio a CTD). 6,5/10.

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