Regia di Fujiro Mitsuishi vedi scheda film
«Qualcuno mi chiama re divino. Qualcuno Buddha vivente. Qualcuno demone. Sciocchezze: sono solo un essere umano». Parola di Tenzin Gyatso, nato Lhamo Dondrub nel 1935, reincarnazione, secondo i suoi seguaci, di Avalokitesvara (il bodhisattva della grande compassione), quattordicesimo Dalai Lama. Il suo profilo iconico ha attraversato la seconda metà dello scorso secolo, dall’esilio imposto dal regime cinese nel 1959 al Nobel per la pace del 1989; e continua a passeggiare serenamente nel terzo millennio, esplodendo frequentemente in risate contagiose, predicando con parole semplici pace, dialogo e non violenza. Il doc del giapponese Fujiro Mitsuishi prende le mosse da una visita ufficiale del Dalai Lama e del suo staff nel paese del Sol Levante, avvicinandosi timidamente a una figura spirituale che si rivela inaspettatamente alla mano, e poi si sposta in India, a Dharamsala, dove le alte cariche buddhiste hanno posto la propria sede dopo l’esodo dal Tibet. Dal ritratto di sua santità, inevitabilmente un po’ agiografico, si passa all’indagine della comunità di studenti e monaci che mantiene testardamente in vita la propria identità religiosa e culturale, svelando anche, per i poco esperti, i fondamenti di una dottrina costruita sulla disciplina, l’istruzione, il dibattito. Dalai Lama - Il quattordicesimo, senza sussulti estetici o creativi, persegue la stessa vocazione didattica: si astiene da risposte certe, ma solletica interesse e curiosità.
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