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La vita di Adele

Regia di Abdellatif Kechiche vedi scheda film

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La recensione su La vita di Adele

di rj
9 stelle

"Adèle è confusa riguardo alla sua sessualità dopo aver lasciato il suo ragazzo e aver provato attrazione per una donna bellissima dai capelli blu. Decide di mettersi alla ricerca del vero amore"

Vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes del 2013 e poi snobbato agli Oscar 2014, Kechiche ha realizzato un'opera più che degna di nota. Il modo in cui il regista affronta il tema dell’omosessualità è molto bello, forse un po’ troppo carnale, ma sicuramente interessante. Viene mostrata la complessità dell’omosessualità, il modo in cui la società la affronta (per lo più in modo negativo) e, soprattutto, i sentimenti di Adèle in modo molto efficace.

Il film, grazie a una regia eccezionale, riesce a stare vicinissimo al personaggio di Adèle, rendendola sincera e facilmente relazionabile per lo spettatore. Come ci riesce? Grazie all'ottimo lavoro registico di Kechiche. La macchina da presa, nel film, non è mai fissa: è sempre a mano, instabile, si muove leggermente, creando un senso di realtà che avvicina lo spettatore alla protagonista. La camera è sempre a mano, e questa instabilità rappresenta forse anche l’anima turbolenta della protagonista che non trova un luogo dove fermarsi e riflettere.

Inoltre, proprio grazie a questa tecnica, Kechiche riesce a entrare ancora più in sintonia con la protagonista, a inquadrarla meglio, a far sentire lo spettatore coinvolto nella storia. Ogni singola azione, ogni sorriso, ogni esitazione della protagonista viene catturato da una macchina da presa che quasi danza coreograficamente insieme a lei, interpretata da una straordinaria Adèle Exarchopoulos. La performance di Léa Seydoux è altrettanto fantastica: perché sì, Kechiche fa la sua parte da grande regista, ma sono queste due attrici a sostenere davvero il film con la loro recitazione.

La fotografia è stata affidata a Sofian El Fani, con cui Kechiche aveva già lavorato in Black Venus. È perfetta e cattura ogni momento con crudezza e realismo, una fotografia che abbraccia ogni singolo dettaglio.

Nonostante le critiche ricevute dalla stessa autrice della graphic novel, il film trova una propria identità, un proprio essere, che è forse la cosa più importante per un film tratto da un libro, un romanzo, ecc.

Detto questo, il film mantiene comunque un approccio molto simile a quello di un libro: il titolo, infatti, include capitolo 1 e capitolo 2. I due capitoli non sono esplicitamente divisi nel film, ma è facile notarli. Questa “divisione” (che banalmente rappresenta il passaggio da adolescente a giovane adulta) permette una struttura molto classica e letteraria, letteratura che per di più è una parte molto importante del film.

Le emozioni sono ben gestite dal regista, che riesce a far provare allo spettatore esattamente ciò che vuole: rabbia, frustrazione, amore, dolore. L'incontro prima della scena finale (ma anche, più semplicemente, la lite precedentemente avuta tra le protagoniste) è una serie di pugni nello stomaco, pugni caricati, sì, attesi, ma che fanno male, perché colpiscono dove devono. Forse è merito delle due attrici, o della capacità di Kechiche di filmare e raccontare, o di entrambi — ma quel pugno nello stomaco io l’ho sentito.

L’unica critica che forse si può muovere al film è la sua lunghezza che, forse, alla lunga rischia di smorzare un po’ l’intensità emotiva...ma soprattutto manca un confronto con i genitori. Per tutta la durata del film, Adèle non affronta mai il tema della sua omosessualità con i genitori e, per un film di quasi tre ore, forse questa è una piccola mancanza. Ma non si può avere tutto, e quello che c’è è realizzato più che bene.

Che altro si può dire di un film così? Tanto di cappello.

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