La recensione su A Dangerous Man. Solo contro tutti

Seconda collaborazione tra l'hawaaiano Keoni Waxman e Steven Seagal, a cui ne faranno seguito molte altre (circa una dozzina) a testimonianza del buon affiatamento tra i due. Rispetto al precedente The Keeper, primo film della coppia, aumentano in modo esponenziale l'azione e la violenza che torna sui registri dei primi film di Seagal, tra arti spezzati, volti lacerati, tra cui uno carbonizzato, e sangue che spruzza dai corpi attinti dai proiettili. Lodevole, per la tipologia di prodotto, l'epilogo dall'alto impatto pirotecnico, con una lunghissima sparatoria collettiva che richiama alla memoria il finale di Sfida tra i Ghiacci. Waxman si impegna dietro alla macchina da presa e va oltre ai limiti del prodotto televisivo. Il make up infatti è superiore alla media dei film direct to video di Seagal e anche la regia non è disprezzabile, nonostante un impiego massivo dei primi piani, una scelta, questa, che rende necessario l'adozione di un montaggio che frammenta e scompone le sequenze. Gli scontri corpo a corpo ci sono, tra leve articolari old style e calci “mae geri” che fanno letteralmente volare gli avversari (tutti non all'altezza del protagonista). Seagal torna a essere brutale. In uno dei primi scontri (sequenza scollegata dal resto), toglie il carrello a una pistola e usa ciò che ne rimane per spaccare la faccia a un manigoldo reo di averlo minacciato.

Se la componente visiva guarda al passato dell'attore, lo stesso non può dirsi per la recitazione. Seagal è impiegato al minimo essenziale (viene concesso largo spazio ai cattivi, addirittura abbiamo tre bande contrapposte, tra cui un gruppo di poliziotti corrotti) tanto da non calamitare su di sé l'attenzione. L'attore è spesso seduto o inquadrato mentre cammina. I combattimenti sono diretti con inquadrature tagliate e un montaggio serrato, utile ad aiutare l'attore evidentemente in difficoltà in quelle che dovrebbero essere le sue scene predilette. Waxman, a ogni modo, sa il fatto suo e, con tutti i limiti (tra cui un cast artistico mediocre), porta a casa un film per la tv tutto sommato vedibile. Certo, i problemi di scrittura e di fotografia (televisiva) sono evidenti. Il prologo è del tutto inutile e scollegato al resto, tanto che si potrebbe tagliare (patetica la parte in cui si moralizza sugli errori giudiziali, con tanto di Seagal che batte il pugno sulla scrivania davanti al giudice). Gli inneschi della trama sono forzati. Non si capisce chi a inizio film incastri il protagonista, e perché lo faccia; non si capisce perché il personaggio di Seagal, dopo essere uscito dal carcere, sventi in stile giustiziere della notte una rapina per poi risolvere (si badi bene nel 2009) il problema di essere stato immortalato da una telecamera a circuito chiuso entrando nel negozio per togliere la vhs dal videoregistratore a cui era collegata la telecamera (mai vista una roba del genere negli ultimi venti anni); appare forzato che il personaggio di Seagal intervenga nel corso di una sparatoria per infilarsi in una lotta tra clan in cui riesce ad avere la meglio senza mai andare in difficoltà contro un plotone di rivali. Insomma, una cura più che sufficiente nella messa in scena, pregiudicata da una scrittura mediocre. A ogni modo, è vedibile ed è in tutta probabilità tra le pellicole da salvare nel folto e disastroso gruppo di prodotti direct to video interpretati da uno svogliato e ormai decaduto Steven Seagal. Sorvolando su qualche calo di ritmo centrale e su un inizio tagliabile, garantisce un sufficiente divertimento per i patiti del genere.