Regia di Satyajit Ray vedi scheda film
"Devi" fu girato nel 1960 dal maestro Satyajit Ray, massima personalità del cinema indiano di lingua bengalese, e appartiene al periodo più prolifico e intenso della sua carriera, venendo dopo capolavori del calibro della Trilogia di Apu o "La sala di musica", anche se la critica non lo ha mai posizionato proprio alla stessa altezza.
La trama vede uno zamindar (signore feudale) nel Bengala del 1860 che diviene sempre più ossessionato dal culto della dea Kali, fino a pretendere che la moglie del figlio sia una reincarnazione della dea, soprattutto dopo il compimento di un presunto "miracolo" su un ragazzo malato, finendo per trasmettere la sua fissazione superstiziosa anche alla nuora, che alla fine entra in una profonda crisi di identità. Il bersaglio di Ray è una concezione distorta e utilitaristica della religione, evidentemente ancora molto presente in India quando il film fu realizzato, tanto che "Devi" appare come un libello in favore del razionalismo umanista tipico dell'autore e di una concezione progressista dei rapporti di classe all'interno della società indiana.
Il film forse non ha la stessa ricchezza nella caratterizzazione dei personaggi rispetto a "La sala di musica", sempre interpretato da Chabi Biswas, che è il modello più vicino a questo data la tematica, ma può contare ugualmente su un'atmosfera di tragedia crescente resa in maniera vivida, fortemente drammatizzata, con immagini sempre molto raffinate nella composizione e un contributo di attori di prim'ordine.
"Devi" suscitò molte polemiche quando uscì per un orientamento che appare fortemente critico della religione intesa in senso tradizionale, non può contare sullo straordinario lirismo della Trilogia di Apu ma è un dramma incisivo, servito da una messa in scena sobria e depurata e dalle vigorose interpretazioni di Chabi Biswas, dell'alter ego del regista Soumitra Chatterjee e dell'allora quattordicenne Sharmila Tagore, che diventerà una star del cinema bollywoodiano.
Voto 8/10
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