Regia di Jan Komasa vedi scheda film
Nel suo fluttuare, in uno sviluppo degli eventi progressivo e sorprendente, tra il thriller sadico, il dramma psicologico e la commedia nera, Good Boy si presta a letture metaforiche sui rapporti interpersonali, ed ha l'ardire di ingenerare domande scomode, paradossali, e moralmente irricevibili.

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Nel corso di una notte inglese di ordinario teppismo, Tommy schiaffeggia un buttafuori, si alcolizza, si fa di coca e pasticche, cornifica la ragazza e per finire urina e si masturba davanti allo specchio di un bagno pubblico. A fine serata viene catturato che ancora barcolla, e l'indomani si risveglia nello scantinato di una casa di campagna, legato a catena con un collare di metallo come un cane.
Sullo schermo che ha nella stanza, rigorosamente posto a distanza di sicurezza rispetto al raggio d'azione lui consentito, passano solamente i video che lui o qualche suo amico ha postato sui social, ad immortalarne violenze e vandalismo vario, alternati a filmati educativi con lo scopo di farlo pentire delle malefatte e 'riprogrammarlo' inculcandogli le buone maniere.
I carcerieri sono una famiglia singolare composta dal padre Chris, un uomo preciso e metodico il cui primo gesto ogni mattina è incollarsi un parrucchino che gli fa un capello perfettamente squadrato, dalla madre Kathryn, una donna dall'aria smunta, trasandata e spettrale, apparentemente passiva ma in realtà direttiva, e il figlio Jonathan, che sembra preparato a rapportarsi al nuovo entrato come a un fratello. A questo quadro di famiglia irritualmente allargata si aggiunge Rina, una domestica macedone appena assunta per fare le pulizie una volta a settimana, con l'obbligo di consegnare il telefono all'ingresso, e la minaccia di attivarsi per far rinverdire un decreto di espulsione appena revocato se non si fa gli affari suoi.

Merito del regista polacco Jan Komasa (qui al primo film in lingua inglese, prodotto da Jeremy Thomas e Jerzy Skolimowski), è aver reso Tommy talmente odioso e disgustoso nell'incipit da far passare come 'accettabile' - miracoli del cinema! - l'idea di vederlo legato e ridotto all'inoffensività, di conseguenza restituendo legittimità ai propositi 'rieducativi' della strana famigliola.
Questo scarto di prospettiva è la chiave di lettura di un film che sa sguazzare nella propria ambiguità, con gli aguzzini che, capaci di cantare gli auguri di compleanno con tanto di torta e candeline in un contesto folle, riescono ad apparire più stravaganti che mostruosi, e ad innescare un rapporto basato sulla fiducia, che da parte loro si misura in centimetri di catena concessi, e da parte della vittima di spazi di libertà guadagnati.
Nel suo fluttuare, in uno sviluppo degli eventi progressivo e sorprendente, tra il thriller sadico, il dramma psicologico e la commedia nera, Good Boy si presta a letture metaforiche sui rapporti interpersonali, ed ha l'ardire di ingenerare domande scomode, paradossali, e moralmente irricevibili: è meglio essere liberi ma soli, o prigionieri ma protetti? è preferibile una libertà senza punti di riferimento, o una tirannia con margini?
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