Regia di Olivier Assayas vedi scheda film
82ma MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2025) - IN CONCORSO
Tratto dal romanzo storico-politico di Giuliano da Empoli, il film di Olivier Assayas si basa sul colloquio tra un docente americano e l'immaginario consigliere ed eminenza grigia del Cremlino Vadim Baranov, durante il quale questi racconta la sua vita, da impresario teatrale e poi produttore televisivo negli anni '90 a consigliere di fiducia di Vladimir Putin durante la sua ascesa al potere nel 1999 e per i successivi anni di Presidenza fino al 2014, quando si ritirava a vita privata.
Sebbene il protagonista sia Baranov, interpretato da Paul Dano, è chiaro che il suo personaggio è uno strumento per parlare di Vladimir Putin (Jude Law, straordinariamente somigliante al presidente russo ) e di come l'allora dirigente dei servizi segreti FSB emerse dal caos in cui era piombata la Russia sotto Yeltisn per catturare il consenso popolare presentandosi come uomo forte in grado di risolvere con le maniere forti la crisi cecena, evitare la disgregazione del Paese e rilanciare la potenza russa sullo scacchiere geopolitico mondiale. In una carrellata avvincente, il film ripercorre il terrorismo e la guerra cecena, la tragedia dell'affondamento del sottomarino Kursk, l'ascesa e la caduta degli oligarchi, la Rivoluzione arancione di Piazza Maidan, le Olimpiadi invernali di Sochi e l'invasione della Crimea, illustrando il ruolo di Baranov nel consigliare lo "zar", come lui stesso lo chiama, a ristabilire la dimensione verticale del potere. Se il film affianca alla storia contemporanea un accenno alla vita personale dell'eminenza grigia, attraverso il rapporto con la moglie Ksenia interpretata da Alicia Vikander, il privato di Putin rimane invece un imperscrutabile mistero e la sua figura quella di un abile e gelido calcolatore, che non lascia trasparire quasi alcuna emozione umana.
Co-sceneggiato da Assayas con Emmanuel Carrère, il dramma politico si presenta piuttosto come una disamina analitica del potere, di come lo si conquista e lo si mantiene, soprattutto in un contesto particolare come quello russo, dove la fascinazione per i dittatori rende tuttora Stalin una figura straordinariamente popolare, come spiega Baranov, non nonostante i massacri compiuti, ma proprio in virtù di questi. Ma è anche, a detta del regista, una riflessione sulla politica moderna e sulle cortine fumogene dietro cui essa si nasconde. E il colpo di scena finale ci ricorda che il potere, soprattutto quello dispotico, richiede e impone sempre segretezza.
Voto: 6,75 su 10
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