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40 Secondi

Regia di Vincenzo Alfieri vedi scheda film

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La recensione su 40 Secondi

di SamP21
8 stelle

Nel processo ai fratelli Bianchi, responsabili di un pestaggio violentissimo che ha visto morire il giovane Willy Monteiro, uno dei fratelli dice, e viene citato alla fine del film con il video:

“se la violenza che dite voi fosse vera, essendo noi così esperti in materia, si vedrebbero i segni sul viso e dappertutto, non crede?” Il P.M. risponde: (e il montaggio in questo è eccezionale)” Guardi che Willy è morto!”.

In questa risposta mi sembra di rintracciare altro che non so scrivere ma ci provo: andando oltre al processo, alla difesa chiara di chi non capisce cosa ha fatto o che vuole salvarsi da una condanna che arriverà, saggiamente, con l’ergastolo per la gravità della violenza. Mi sembra di poter dire che in un mondo connesso, la comprensione dei fatti, dei gesti, dei nostri gesti, della forza, delle parole, sia fuori gioco non ci sia più; e allora un film come “40 Secondi” è così prezioso nel ricostruire un fatto brutale, e nel farlo traccia una serie di tasselli.

La trama in breve:

Una banale incomprensione causa un litigio che si trasforma in men che non si dica in un pestaggio punitivo di violenza inaudita. Il corpo di un giovane di 21 anni, Willy Monteiro Duarte, rimane a terra senza vita. Quaranta secondi. Tanto è bastato a stroncare i sogni e le speranze di un ragazzo senza colpe.

 

Una pecora massacrata, apre il film, poi capiremo perché. È chiaro il riferimento a Willy… Intanto le nuvole si fanno sempre più nere, in questa scena iniziale, un temporale, una scarica di pioggia e di botte: pugni e calci si sta per scaricare su un paese periferico della capitale. Il fatto è noto, l’uccisione, casuale, di Willy, la violenza di un gruppo di persone, e lasciamo da parte l’aspetto “fascista” dei due fratelli e saggiamente fa così anche il film, perché non è la questione centrale qui, semmai lo è più il fare criminale e criminoso di questi due piccoli delinquenti. Il film segue le ore che precedono il pestaggio di alcuni dei protagonisti della vicenda: intreccia così più sottotrame e vicende che sono la forza del racconto. Ne esce fuori uno spaccato verosimile e sincero di una gioventù un po’ allo sbando (come da decenni?) ma non solo, in un ambiente dove la violenza sembra imperare e questa è la base del fatto centrale del racconto.

 

La morte di Willy nasce da un pretesto risibile da una parte, un “a bella” detto dal più infimo dei personaggi raccontanti, uno che si nasconde dietro gli altri: “Cosimo”. Ma dall’altra parte nasce da una violenza insista in una cultura criminale, una violenza inarrestabile mortale purtroppo per il protagonista. Sogni infranti e mancanza di sogni sembrano permeare i protagonisti, non tutti chiaramente. Non Michelle e non Willy per esempio, che vogliono diventare altro, che perseguono un obbiettivo; gli altri sembrano vivacchiare, rincorrere, non c’è povertà in questi personaggi, c’è spesso degrado, c’è una società non gestita ed è lì che emergono i “Bianchi” di turno, col culto dei muscoli e della violenza. Dove la qualità, come dice uno dei due, è un concetto che si “bevono” gli stupidi, dove ci si stupisce che un medico sappia qualcosa di biologia, e dove del resto ci sono razzismo e infine anche fascismo, non il culto di qualcosa in realtà ma più il culto della violenza.

 

La Mdp di Alfieri segue i personaggi ed è molto interessante il racconto, così lontano da tanto cinema recente: i personaggi mangiano, bevono, fanno sesso, ballano, insomma c’è un interesse reale nel ricostruire senza retorica, senza edulcorare e senza esagerare, questi giovani. C’è un interesse reale per la fisicità dei personaggi, la fisicità e la forza che poi sono alla base di questo gesto indicibile.

 

La Mdp e il montaggio (sempre del regista) riescono a costruire una fitta trama che ci porta poi al culmine finale che non è chiaramente l’aspetto più importante; lo è invece capire chi sono questi personaggi, da dove vengono, cosa cercano o non cercano. Il film segue la cronaca e prende il via da un dettagliato libro, ma non rimane cronaca (per quella si può vedere il tg e “un giorno in pretura”) e si fa arte, nel raccontare politicamente le vite di questi ragazzi e ragazze e la fine oscena di Willy, alla fine di un atto stravolgente e annichilente come fu la violenza dei “gemelli”. Un film politico perché racconta una realtà senza filtri, senza però tralasciare la potenza delle immagini, la forza del cinema: la scena in discoteca è vibrante, i p. p. dei due gemelli con il loro rapporto morboso, la ricostruzione dell’ambiente del paese.

 

E infine non si può non citare la direzione degli attori che sono tutti bravissimi e intensi. Di Leva per me è una conferma assoluta, un attore capace sempre di dare un tono in più, un tono morale a quello che dice; ma non dimentichiamo le musiche che ci raccontano i personaggi e l’ambiente appunto, le velleità, e i desideri.

 

Un film da vedere assolutamente per la sua urgenza, forza, perché è politico e per ricordare un giovane ragazzo morto per aiutare un amico.

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