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La mia famiglia a Taipei

Regia di Shih-Ching Tsou vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La mia famiglia a Taipei

di Lky
8 stelle

La forza visiva e poetica del nuovo cinema orientale ci mostra un'evoluzione dei personaggi femminili, non tralasciando le annose diatribe tra classi sociali e l'incomunicabilità familiare.

Festa del cinema di Roma 2025, giorno 11, vincitore: ‘Left handed Girl’Shih-Ching Tsou)

 

Prima di recensire il film premiato alla Kermesse romana è doveroso appoggiare il grido d’aiuto sentito dagli addetti ai lavori non appartenenti alla cerchia intoccabile dello spettacolo. I giovani sono la speranza per una ricostruzione o creazione da zero di un’industria checché se ne dica ai minimi storici, dove chi guadagna lo fa a fondo perduto senza rischi, raccontando sempre le stesse storie e gli altri, emarginati da questo alveo, costretti a reinventarsi continuamente per lavorare nel settore per cui hanno studiato, rischiando e finendo per perdere quasi sempre. Queste considerazioni vengono in luce dal sottoscritto, il quale non ha mai ottenuto una lira dal percorso cinematografico ed è stato quasi obbligato a cambiare rotta lavorativa ma sono sicuro che come me ci sono tanti altri disillusi come me che continuano (sognando) a voler dissertare e produrre anche senza raccimolare denaro prodotti su una passione che pulsa sempre, anche quando ci viene detto dai trincerati dello spettacolo che va tutto bene e l’audiovisivo nostrano va a gonfie vele, (si come no?!) Ma veniamo al film, una benedizione, un’impronta autoriale necessaria nel periodo attuale costellato dal risveglio della coscienza femminile a tal punto che una storia potente come quella vista ieri in concorso a Roma, finisce per avere un sapore globale, internazionale, il quale purtroppo nel nostro cinema diviene un topos agiografico, distante dalle punte neorealiste e moderne toccate da questo ‘Left handed Girl’. Ci tengo a porre il focus della forza di questo film sulla creazione di personaggi femminili e maschili realistici, sofferenti, vividi, i quali rispecchiano le difficoltà di un ceto basso soggiogato da istinti primordiali e cannibali a livello capitalistico. Pensiamoci un attimo, il cinema europeo e quello statunitense sono in grado di mostrarci senza retorica e cerchiobottismo le paure assieme alla forza finanche l’impulsività dell’essere umano? Difficile, perché noi siamo soliti dare giudizi ultimamente, cosa che qui la regista Shih Ching Tsou non si sogna minimamente di dare, anzi tramite un uso sapiente della macchina da presa, attraverso carrellate, p.o.v a mo di criceto, grandangoli e campi medi ristretti, ci immerge in una bolla apparentemente luccicante (anche i colori trasmettono emozioni), in cui si percepisce l’egemonia del potere tradizionale maschile, la nonna della famiglia preferisce lasciare tutto al primogenito e di rigetto, la tensione e l’angoscia delle protagoniste femminile sembrano esplodere da un momento all’altro. Includere richiami preponderanti al neorealismo e alla novelle vague francese, sapendoli mischiare alla tradizione del cinema orientale visivo, poetico e tesa tipica dei loro drammi familiari, ha elargito un ibrido volto a raccontare ancora una volta l’incomunicabilità tra classi sociali (anzi forse peggiorata), la necessità che si fa virtù delle classi meno abbienti (i 400 colpi docet) oltre a mostrare evoluzioni e sentimenti puri di personaggi femminili in contrapposizione ai loro rispettivi affetti maschili. Tre immagini chiavi sintetizzano questa capacità straordinaria nel mostrare il loro arco narrativo: l’asse disallineato delle tre protagoniste, ove il disallineamento rappresenta l’incomunicabilità delle tre correnti femministe; la scena dell’aborto volontario il quale assume una connotazione politica non strumentalizzata, bensì diegetica, (semmai noi spettatori potremmo vederci lo schiaffo morale dato alla nonna che voleva solo figli maschi); e la chiusura del cerchio finale dove mostrare il ritorno alla normalità della famiglia composta da sole donne e da un nuovo maschio sensibile e premuroso, ci invita a riflettere sulla forza della famiglia che si sceglie e non si impone. Un plauso anche a come si è gestita l’innocenza della bambina la quale è intenta a nascondere la mano sinistra perché quel nonno tradizionalista le ha detto che la mano sinistra è la mano del diavolo e la capacità con cui la regista riesce a rendere allo stesso tempo sensibile, leggero e dolce la sua reazione è puro cinema universale. Non penso sia un caso che a capo della giuria ci fosse un’artista attenta all’evoluzione della scrittura dei personaggi femminile come la regista di ‘c’è ancora domani’ e spero che un giorno anche le nostre autrici o autori possano regalarci storie scevre da apologie e piaggerie o e che questi film possano essere visti anche da tutto il pubblico tout court, il quale ieri ahimè era quasi esclusivamente formato da un target specifico.

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