Regia di Jafar Panahi vedi scheda film
Vahid (Mobasseri), meccanico d'auto, crede di riconoscere nell'uomo (Azizi) rimasto in panne davanti alla sua officina lo stesso torturatore che lo aveva accusato di remare contro il regime. Deciso a vendicarsi, lo rapisce, ma, ascoltando le rimostranze del suo presunto carnefice, viene assalito dal dubbio. Per vederci chiaro si rivolge ad altre vittime del potere, nessuna delle quali ha mai visto in faccia il proprio aguzzino, giacché tutti erano stati bendati. La vicenda si trasforma così in un'assurda gimcana per le strade di Teheran, con un gruppo eterogeneo composto da una coppia prossima alle nozze, da una fotografa (Afshari) e dal suo ex marito.
È l'ennesima conferma del cinema iraniano, che si mostra come uno dei più vitali di questo primo scorcio di XXI secolo. Con Un semplice incidente Panahi firma una delle sue opere più riuscite, girata clandestinamente e senza autorizzazioni, innestando un registro grottesco, nutrito di humour nero, che sul finale cede il passo a un tono da revenge movie, su una trama percorsa da una drammaticità mai urlata. Al regista, che a Cannes ha portato a casa la Palma d'oro per il miglior film, va riconosciuta un'indiscutibile abilità nel mantenere un tono costantemente leggero, grazie al quale lo sguardo si allarga, senza mai trasformarsi in pamphlet, sulle altre porcate del sistema, a cominciare dalla corruzione dilagante e sfacciata, e sul fragile confine tra giustizia e linciaggio. Uno schiaffo dato con sobrietà e umorismo a un regime teocratico che non smette di commettere orrori e di cui continuiamo a sentire i passi sinistri, come nello splendido finale del film.
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