Regia di Zach Cregger vedi scheda film
Ci sono pellicole che semplicemente fanno paura, colpendo allo stomaco dello spettatore o puntando a elaborare le sue paure più nasconde, altre invece ti disturbano, ti lasciano qualcosa di sgradevole nell’inconscio, qualcosa di indefinito ma disturbante.
Ecco, Weapons ha tutte le carte in regola per rientrare nella seconda categoria.
Tre anni dopo Barbarian, la sua prima e autonoma opera cinematografica, Zach Cregger torna nuovamente all’horror con Weapons, favola nera in odore di Stephen King con il quale costruisce un horror polifonico, provocatoriamente divertente e per questo spiazzante tra strutture a mosaico, simbolismi archetipi ed estetica pop.

La "luccicanza" è potente in questo film..
Zach Cregger, come anche Jordan Peele (per citare un altro, recente “autore” horror del nuovo cinema americano), viene del resto dal mondo della commedia, ha fatto parte di un collettivo comico (il Whitest Kids U' Know) e, come attore, ha partecipato a diverse sitcom e il suo primo film come co-regista (Miss Marzo) parla di sesso & crimini ma sempre in una chiave chiaramente umoristica (per la cronaca, il film è stato massacrato dalla critica americana) e questo lo porta a sostenere, con assoluta convinzione, che commedia e horror funzionano esattamente allo stesso modo, ovvero si basano semplicemente sulla sovversione e il disorientamento delle aspettative dello spettatore, delineando così la principale poetica narrativa su cui si basa il suo tipo di cinema.
Sceglie quindi per il suo film una narrativa frammentata, alla Magnolia di Paul Thomas Anderson (per sua stessa ammissione l’ispirazione più importante per la pellicola), sei capitoli autonomi come anche sei diversi punti di vista che si intrecciano tra loro, e dedicati ognuno a un diverso personaggio che, come in un puzzle, ci obbligano a ripensare a tutto quello che credevamo di sapere finché queste non convergono, lentamente, nel gran finale.
Si parte dalla maestra di scuola per proseguire poi a un padre devastato, un poliziotto disilluso, un tossicodipendente, il preside della scuola e infine l’unico bambino della classe che non è scomparso.

Ma anche altri riferimenti, estetici e letterari, abbondano nel film, a partire dall’onnipresente Stephen King (sembra ormai che in America non possa esistere opera orrorifica che non lo abbia come modello o fonte d’ispirazione), soprattutto nella descrizione della provincia americana e del suo falso perbenismo, ma c’è anche molto Sam Raimi e la sua iperbole su una violenza quasi (picaresca?) farsesca e la cupezza delle fiabe gotiche dei fratelli Grimm, le paranoie dell’America più profonda di Scott Cooper ma anche echi del Prisoners di Dennis Villeneuve o dei thriller di David Fincher e, per una certa atmosfera, specie nella prima parte, anche Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh.
Lo stile di Cregger è immediatamente riconoscibile, con la macchina da presa che scivola tra strade e corridoi non in linea retta ma curvando e piegandosi continuamente, seguendo traiettorie che catturando lo spettatore in una danza affasciante ma in sinuosa, anche grazie al suo direttore della fotografia Larkin Seiple, e la regia è è curata, geometrica, quasi innaturale.
Ogni inquadratura è pensata per guardare più a fondo, amplificando la tensione, perché Cregger è un regista che ti chiede attenzione, e i dettagli sullo sfondo diventano ancora più importanti di quanto accade in primo piano.
Weapons è un horror ma è anche (soprattutto?) una riflessione sulla paura, sul bisogno di controllo e sulla necessità, molto (troppo?) umana, di trovare un colpevole quando qualcosa non rientra nell’ordine delle cose, e che trova come principale bersaglio alle proprie ansie proprio gli outsider, gli indesiderabili, i reietti o gli esclusi.

Ma in definitiva di che cosa parla, principalmente, Weapons?
Formalmente (!!) del fatto che ogni persona può trasformarsi in un’arma devastante, specie se radicalizzata o manipolata dalle persone sbagliate, sia prese singolarmente che in quanto società (civile?).
In realtà a emergere dal racconto sono soprattutto i drammi generazionali e i traumi dell’America, rappresentati simbolicamente dalla silhouette dei bambini che corrono con le braccia spalancate in un chiaro rimando alla famosa foto della “Napalm Girl” del ’72 e, quindi, all’innocenza perduta, ma anche la volontà di affrontare, sotto la superficie del genere horror, temi quali il senso di colpa individuale o il panico collettivo di una società come anche il bisogno compulsivo, e quindi spesso generalizzato e/o fallace, di qualsiasi spiegazione razionale di fronte a qualcosa che, invece, sfugge alla razionalità,
Il film non parla esplicitamente di sparatorie scolastiche ma lo spettro è comunque quello, presente in (quasi) ogni scena, a partire dal sogno allucinato di un padre che vede un fucile nel cielo come una specie di visione (e, a parer mio, in modo fin troppo didascalico -e forzato- per uno dei momenti meno riusciti del film) fino a una comunità che cerca risposte nel soprannaturale perché incapace di accettare la tragicità di certe realtà in quanto troppo terribili per essere davvero affrontate.
Eppure, Weapons non è, nonostante tutto, un film ideologico, la critica sociale è insinuata ma mai pedante, la realtà e il metafisico si sovrappongono rendendo difficoltoso distinguere ciò che è davvero accaduto da quello che è soltanto immaginato.
Zach Cregger ribadisce dopo Barbarian la sua attenzione per le dinamiche famigliari, gli adulti sono spesso apatici, indifferenti anche a tutto quello di terribile gli succede attorno, se non quando (e nemmeno sempre) direttamente coinvolti, preferendo conviverci finché è la loro stessa apatia a farli diventare vittima (spesso dopo essere stati, a loro volta, carnefici).

Ottima la prova degli attori, tutti bravissimi a partire da una perfetta Julia Garner, sempre più incisiva a ogni nuova pellicola, un perfetto e rancoroso Josh Brolin, un ineffabile Benedict Wong, un dolente Alden Ehrenreich e un sorprendente Austin Abrams, protagonista anche della nuova pellicola di Zach Cregger dedicata al videogioco di Resident Evil, e di una grandissima Amy Madigan, grottesca e diabolica e punto di rottura della pellicola tra il suo lato drammatico e il farsesco, e il giovanissimo Cary Christopher, tutti diretti magnificamente e con mano sicura da Cregger.
Weapons non è comunque un film perfetto, alcune scelte sono ridondanti e certe ripetizioni appesantiscono il racconto e non appaiono neppure necessarie, ma è un film che osa, che colpisce allo stomaco ma con intelligenza, non rinunciando a usare la testa, aggiungendo alle suggestioni del film e a particolari stranianti una colonna sonora inquietante, e alternando a un immaginario potente anche un sorriso beffardo.
Niente affatto rassicurante.
VOTO: 7,5
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