Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film
CM al Cinema (50)
Un esperimento insolito per il regista, che si cimenta con un pulp noir metropolitano ambientato nella New York del 1998. Tratto dal romanzo di Charlie Huston, che ne firma anche la sceneggiatura, il film racconta la discesa agli inferi di Hank Thompson, interpretato da Austin Butler, un ex giocatore di baseball ormai senza prospettive, trascinato in una spirale di violenza e casualità a causa di un gatto affidatogli da un vicino. Attorno a lui ruotano figure ambigue e pericolose: Zoë Kravitz nei panni di Yvonne, una presenza femminile che incarna sia sostegno che disillusione; Matt Smith in un ruolo sopra le righe che aggiunge tensione e humour nero; Liev Schreiber e Vincent D’Onofrio che danno corpo a gangster dalle sfumature tra il grottesco e il minaccioso; Regina King e Bad Bunny che completano un cast eterogeneo. L’atmosfera anni ’90 è uno degli elementi più riusciti: Aronofsky ricostruisce una New York sporca, vibrante e tagliente, piena di contrasti, dove neon, locali fumosi e vicoli bui restituiscono un senso di claustrofobia urbana. L’uso della fotografia, la colonna sonora che alterna rock e suggestioni elettroniche e il montaggio che alterna lentezza ipnotica a esplosioni improvvise, conferiscono al film un ritmo che cattura lo spettatore anche nei momenti più disordinati. Austin Butler offre una prova intensa e credibile, oscillando tra fragilità e durezza, trasformando Hank in un personaggio complesso, segnato dai rimpianti ma ancora capace di resistenza. Zoë Kravitz contribuisce a umanizzare la vicenda, mentre la presenza di Matt Smith e Schreiber porta la narrazione a oscillare tra il drammatico e il grottesco, mantenendo viva la tensione. Non mancano però limiti: il tono che mescola pulp, commedia nera e dramma a volte risulta sbilanciato, con alcune scene che sfiorano la caricatura e rischiano di spezzare l’immedesimazione. Alcune sottotrame criminali si appoggiano a stereotipi già visti, e nella parte centrale il ritmo cala, dilatando eccessivamente i tempi prima di rilanciare con i colpi di scena finali. Tuttavia, pur non essendo sempre equilibrato, il film resta un lavoro affascinante, sorretto da un cast solido e da una regia che conferma la capacità di Aronofsky di trasmettere inquietudine, visceralità e caos emotivo. “Una scomoda circostanza” non è il capolavoro del regista, ma rappresenta una variazione interessante e coraggiosa sul suo cinema: un noir sporco, divertente e teso, che intrattiene e lascia spazio a riflessioni più profonde senza mai tradire del tutto la sua anima ribelle
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