Regia di Scott Cooper vedi scheda film
Al cinema è un periodo piuttosto florido per i biopic musicali.
Dal grande successo di Bohemian Rhapsody in poi vediamo sempre più spesso storie e ritratti di musicisti la cui narrazione si può suddividere principalmente in due categorie: quella che in poco più di due ore cerca di racchiudere un’intera esistenza, cercando di dare coerenza a tutta una sere di episodi particolarmente significativi, momenti rivoluzionari per la storia della musica o canzoni che hanno ridefinito le loro carriere allo scopo di creare un enorme affresco capace di raccontarne l’epopea e il mito oppure scegliere di raccontare soltanto un momento particolare della loro vita, e trasformarlo in una sua confessione universale come, ad esempio, nel recente A Complete Unknown di James Mangold su Bob Dylan e la sua, molto contestata all’epoca, svolta elettrica.
Springsteen - Liberami dal nulla di Scott Cooper ne è il parente più stretto e, come quella pellicola, cerca di racconta soprattutto la fragilità dell’artista, la sua solitudine e i suoi tormenti e non raccontarne semplicemente la carriera artistica.

A distanza di sedici anni da Crazy Heart, Scott Cooper torna quindi a raccontare la musica in una storia quasi antitetica, niente epopea da rockstar quanto piuttosto un folk rock dell’anima, tra incolmabili vuoti affettivi e ferite mai davvero rimarginate, raccontate nel buio di una stanza e con i fantasmi del passato a bussare alla porta.
Chi si aspettava il classico biopic su una rockstar, quindi, probabilmente resterà deluso perché questo film è tutt’altro.
Presentato in anteprima al Telluride Film Festival in Colorado, l’originale Deliver Me From Nowhere (verso finale della canzone Open All Night) nasce dall’omonimo libro Liberami dal nulla - Bruce Springsteen e Nebraska (ed. Jimenez) scritto da Warren Zanes, chitarrista della rockband bostoniana Del Fuegos, e romanzo sulla nascita dell’album Nebraska ma anche reportage, diario-intervista e saggio musicale sul rock ‘n’ roll oltre che testo fondamentale per qualsiasi springsteeniano e/o appassionato di musica.
Springsteen - Liberami dal nulla sceglie quindi un approccio atipico per il genere, inquadrando un periodo ben specifico nella vita del cantante e raccontando la complicata genesi dell’album Nebraska, tra gli album più apprezzati (e personali) del Boss prima di esplodere definitivamente con l'iconica Born In The U.S.A.

Dopo il successo del The River Tour, Springsteen sta per diventare una superstar mondiale e ha quasi pronto l’album che potrebbe lanciarlo immediatamente nella hit parade ma decide invece di fare uscire un album solista, acustico, registrato su un quattro piste e senza una band ad accompagnarlo, in pratica una demo casalinga improvvisata e registrata in solitaria in una casa affittata a Colts Neck, in New Jersey.
“Volevo che la musica fosse come un sogno ad occhi aperti e che il disco fosse commovente come una poesia. Volevo che il sangue fosse percepito come fatale e profetico”. E con queste parole che, nel 1998, Springsteen parlava del suo lavoro più intimo, più personale e doloroso.
Perché Nebraska è prima di tutto una confessione intima, un viaggio nell’anima di un artista che ha imparato che non sempre la verità è davanti ai nostri occhi ma che spesso si nasconde dietro alle nostre paure, dietro ai ricordi o celate dietro a note scarabocchiate su un foglio nel buio di una stanza vuota.

Per la prima volta le sue canzoni non parlano più di redenzioni, sogni impossibili o di speranza quanto invece di assassini, rapinatori, uomini condannati alla prigione o a morte e di fantasmi, dell’anima e della mente, trovando ispirazione in vecchi film come La rabbia giovane (1973) di Terrence Malick (il cui titolo originale, Badlands, ha dato il titolo a un’altra canzone del Boss) e La morte corre sul fiume (1955), prima e unica regia del grande attore Charles Laughton oppure dai racconti della scrittrice Flannery O’Connor.
Springsteen era ormai in depressione, tormentato da alcuni traumi del passato e dal “peso” del successo, e Springsteen – Liberami dal nulla ci permette di osservarne l’abisso in cui è caduto, senza alcun conforto o protezione per un’esperienza dolorosa e personale sorprendentemente incisiva, intimamente connessa con la solitudine di una memoria irrisolta.

Ma c'è comunque una certa convenzionalità nel racconto e la regia non regala nessuna sorpresa finendo per realizzare un'opera senza troppe sorprese dal punto di vista formale e costruito completamente intorno al volto di Jeremy Allen White che, dopo la folgorazione in Shameless e la sua successiva consacrazione nella serie Disney The Bear, veste i panni di Springsteen.
Perennemente in bilico tra rabbia e malinconia, White diventa la maschera perfetta per raccontare il tormento interiore del Boss in un’interpretazione di pura immersione che riesce a dare corpo, voce e anima fondendosi tutt’uno con la figura di Springsteen.
Apprezzabile poi il fatto che non cerchi l'imitazione o l’eccessivo realismo (in realtà i due si assomigliano poco) se non quando riproduce le scene cantate in cui la mimetica è quasi perfetta (la voce, notevole, che sentiamo è proprio quella di White).
Completano poi il cast Jeremy Strong nel ruolo di Jon Landau, storico manager e confidente di Springsteen, Stephen Graham in quelli di Douglas, il padre di Springsteen, e poi Gaby Hoffman in quello della madre, Adele, Paul Walter Hauser e Odessa Young.
Tuttavia, è proprio la prova estremamente convincente di Jeremy Allen White a supportare, quasi da solo, l’intera pellicola e l’onere, delicatissimo, di interpretare un’icone american come il Boss Bruce Springsteen, convincendo pienamente.

VOTO: 6,5
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