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The Ugly Stepsister

Regia di Emilie Blichfeldt vedi scheda film

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La recensione su The Ugly Stepsister

di giurista81
8 stelle

Dopo film tutt'altro che raccomandabili quali Red Riding Hood (Cappuccetto Rosso Sangue, 2011) e/o Gretel e Hansel (2020), ecco uscire la fiaba di Cenerentola virata all'horror. Al centro del progetto vi è una produzione che abbraccia quasi tutta la Scandinava (Norvegia, Svezia e Danimarca) oltre alla Polonia e che scommette su una regista e sceneggiatrice esordiente dalle idee ben chiare e interessata a conferire un'impronta autoriale al suo lavoro: Emile Blichfeldt (reduce da cinque cortometraggi). Ne viene fuori una grossa sorpresa che dimostra ancora una volta come, in questi anni, il vero horror trovi residenza nel vecchio continente piuttosto che nell'edulcorata dimensione hollywoodiana dove il genere, salvo rare eccezioni, sul finire degli anni ottanta è stato annacquato, banalizzato e reso prodotto commerciale.

The Ugly Stepsister è un film alieno ai compromessi, che non lesina nel mostrare (forse anche oltre il dovuto) e che, soprattutto, evidenzia una marcata critica sociale a una società interessata alle apparenze e ai costumi sociali piuttosto che ai contenuti e ai sentimenti che dovrebbero supportare le decisioni da intraprendere. La donna torna a essere (e lo fa con vanto ricorrendo al fascino femminile quale arma di conquista sociale) un corpo da acquistare e la bellezza si riduce a unico valore di selezione, in un contenitore generale in cui l'ipocrisia dilagante si trincera dietro alle buone maniere e all'eleganza per celare la grettezza dell'effettiva realtà allo sguardo poco attento del cittadino assuefatto dalle regole del bon ton (recepito senza comprensione). Ecco allora l'indugiare sulle pratiche di chirurgia estetica (alquanto crude e ben rappresentate), sulla decisione di ricorrere a soluzioni folli per agevolare il dimagrimento a scapito della salute (che è un po' quello che avviene alle modelle per restare ancorate al canone di bellezza definito dall'alta moda) così come il duro insistere sul ballo e sulle movenze da tenere e da assumere per conquistare il cuore degli uomini abbienti un po' come si potrebbe “indottrinare” un cavallo da impiegare nel dressage. Utilizzo il parametro del cavallo non a caso, in quanto vi è una sequenza piuttosto centrale del film in cui le più belle ragazze di corte vengono proposte alla stregua di animali da destinare alla vendita dei nobili allupati (e gretti) con tanto di descrizione, genealogia e attitudini di impiego. Non importa poi chi sia il nobile che viene a chiedere la mano, basta che abbia soldi e poteri (un po' come succede oggi in certi contesti più o meno virtuali, penso a only fans e similari). La debuttante Emile Blichfeldt, regista e sceneggiatrice del film, sembra agire svincolata dal guinzaglio della produzione. Non ha remore di sorta nell'evidenziare la propria denuncia e il marcio (continuamente rappresentato dai vermi che si contorcono per tutti il film), tanto evidente quanto non esplicitamente dichiarata (allo spettatore il compito di unire i punti). Utilizza la parabola del brutto anatroccolo rappresentato da Elvira (l'ottima Lea Myren) che si tramuta in cigno (lo stesso lo farà Cenerentola), seppure attraverso soluzioni truffaldine che la ragazza, influenzata dalla cinica madre (eccelsa Ane Dahl Torp), intraprende pur di avere per sé il bel principe (personaggio, in realtà, alquanto idiota e privo di spessore). Pur perdendo il senno, Elvira è l'unico personaggio veramente animato da un qualcosa di profondo. Ama la poesia (certamente non scritta da chi lei pensa), si commuove nel valutare il bello e si interroga sul senso delle metafore utilizzate dalle parole che legge con un'ingenuità di fondo che fa tenerezza. Incarna, per certi versi, la bambina che non viene plasmata dal genitore ovvero la materia prima rovinata da mani che mirano a ottnere altro che il bene della giovane. Se ci si pensa bene è quello che avviene oggi con i modelli e gli insegnamenti offerti da certe trasmissioni televisive. In tutto il film, Elvira è l'unico soggetto che non ha mire materialistiche. Gli altri ragionano tutti in ossequio alla bramosia del potere, alla sete del denaro e della lussuria. Interessante come la Blichfeldt, mantenendo inalterata l'apparenza della fiaba dei Grimm, sposti il ruolo morale che sta alle base delle fiabe invertendo la centralità della vicenda dalla protagonista (Cenerentola) alla sua sorellastra cattiva (Elvira). Non è la parabola di Cenerentola a fungere da strumento di insegnamento, bensì quella della sorellastra Elvira che paga a caro prezzo la sua ossessione per il risultato finale.

Inutile dire che il film, pur ispirandosi a una fiaba, non è certo indirizzato ai bambini. La Blichfeldt riesce nel tentativo di combinare l'eleganza di un film in costume con i due generi più censurati della settima arte ovvero il porno (un pene in primissimo piano e un altro paio di momenti abbastanza espliciti) e l'horror splatter tanto da arrivare in due scene a omaggiare Lucio Fulci (penso alle torture sull'occhio o alla scena del vomito di Paura nella Città dei Morti Viventi). Il proposito, di certo ardito e in parte figlio di pellicole quali Poor Things (“Povere Creature”, 2023) e Barbie (2023) a cui The Ungly Sister è nei contenuti debitore, consente alla pellicola di spiccare e di brillare in un panorama horror inquinato dal conformismo hollywoodiano. Eleganza e grettezza vanno così a braccetto, tanto da essere sintetizzate da almeno un paio di scene che costringono lo spettatore più sensibile a spostare la testa dal video. Un film dunque che non si scorda e che riesce ad abbinare leggerezza e ilarità alla cattiveria e all'aspra critica sociale. La fiaba dunque mantiene il senso morale ma ribalta il messaggio di fondo: il mondo incantato è un'illusione rappresentata da una falsità sotto la quale regna la meschinità e l'opportunismo. Epilogo in puro stile europeo contrapposto al rassicurante messaggio dei prodotti commerciali d'oltreoceano. A Hollywood un film del genere non lo avrebbero prodotto. Ben vengano dunque queste produzioni europee che dovrebbero essere incoraggiate e premiate dal pubblico, ivi compreso quello americano cresciuto con gli horror dei vari Carpenter, Cronenberg, Craven, Yuzna (si veda Society) e compagnia.

Bene il cast artistico, con Lea Myren (perfetto il passaggio da bruttina a super top) e l'autoritaria Ane Dahl Torp che brillano su tutti e tutte. Un po' pesce lesso il principe interpretato da Isac Calmroth.

Da un punto di vista tecnico, il film beneficia di una fotografia fredda e glaciale che rimanda ai film horror di impronta gotica di Jess Franco (pianure con carrozze trainate da cavalli che galoppano nella nebbia). Notevole anche la colonna sonora composta da temi che rimandano al Luis Bacalov ripescato e riproposto da Quentin Tarantino. Cadenzato il montaggio con ottimi stacchi ritmati da cambi di registro musicale. Notevole il trucco. 

Evidente fin da subito l'apprezzamento della critca. Candidato come miglior film al Sitges Festival, al Fangoria Chainsaw Awards e al Neuchatel International Fantatic Film Festival (dove ha ottenuto il premio al miglior regista, riconoscimento bissato al Boston Underground Film Festival), vincitore in Norvegia del premio per la migliore attrice emergente (Lea Myren) e per il miglior trucco.

Visionato per caso e in anteprima al FI-PI-LI Horror Festival 2025, è stato una piacevole scoperta che potrete visionare al cinema a partire dal 30 ottobre. Andatelo a vedere. Promosso a pieni voti.

 

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