Regia di Alex Scharfman vedi scheda film
Satira, sangue e follia: un caos irresistibile che sorprende e intrattiene più di quanto ci si aspetti.
Death of a Unicorn (2025): locandina
Death of a Unicorn (2025) non ha mai avuto la pretesa di essere un capolavoro, e questo va detto subito. Satira, splatter, comicità e fantasy si intrecciano in una storia volutamente esagerata e sopra le righe. Non sorprende quindi che la critica l’abbia stroncato con troppa severità: parliamo di un’opera che non vuole insegnare nulla, ma intrattenere con cinismo e sangue. A produrre, in veste di esecutivi, troviamo nomi di spicco come Paul Rudd, Jenna Ortega e Ari Aster, segno che il progetto non è nato per caso ma con un’idea precisa, pur non essendo “cinema d’autore” in senso stretto.
Elliot Kintner (Paul Rudd), avvocato in una grande azienda farmaceutica, è in viaggio con sua figlia Ridley (Jenna Ortega) verso la tenuta di montagna del suo capo, Odell Leopold (Richard E. Grant), immersa in un paesaggio mozzafiato che alterna boschi e valli incontaminate, per un ritiro aziendale. Durante il tragitto, investono accidentalmente un giovane unicorno. Incuriosita e spaventata, Ridley entra in contatto con il corno dell’animale, scatenando visioni e cambiamenti inspiegabili. Portato il corpo nella villa, la famiglia Leopold — la moglie Belinda (Téa Leoni), il figlio Shepard (Will Poulter) e il butler Griff (Anthony Carrigan) — insieme all’assistente Shaw (Jessica Hynes) e ai due ricercatori Dr. Bhatia (Sunita Mani) e Dr. Song (Stephen Park) capisce subito che l’unicorno non è una semplice creatura leggendaria: il suo sangue e il corno contengono un potere miracoloso che tutti vogliono sfruttare. Tra avidità, inganni e tensioni, la situazione si complica ulteriormente quando i genitori dell’unicorno arrivano per riprendersi il piccolo, scatenando caos e violenza all’interno della villa.

Alex Scharfman, al suo esordio alla regia, firma sia la regia sia la sceneggiatura, costruisce un film che mescola horror, satira e fantasy senza paura di sbilanciarsi. Sfrutta il meraviglioso paesaggio ungherese, tra boschi e colline pittoresche, in maniera quasi fiabesca, combinando momenti grotteschi a esplosioni splatter e sequenze surreali con effetti pratici e CGI per dare vita all’unicorno e agli eventi fantastici, creando un tono volutamente sbilenco ma coinvolgente. La sceneggiatura gioca sul cortocircuito tra fiaba e cinismo contemporaneo, con battute che colpiscono e altre più superficiali, ma nel complesso il mix funziona: il film non cerca coerenza assoluta, ma reazioni, sorpresa e divertimento nero.

Paul Rudd è Elliot Kintner, un padre pragmatico travolto dagli eventi, capace di stemperare tensione e incredulità con il suo humor asciutto, mentre sua figlia Ridley, interpretata da Jenna Ortega, domina la scena con curiosità e determinazione. Richard E. Grant dà vita a Odell Leopold, magnate ossessionato da potere e denaro, oscillando tra minaccia e comicità nera, affiancato da Téa Leoni nei panni della moglie Belinda, elegante e calcolatrice. Will Poulter porta Shepard come figlio insicuro e nevrotico, aggiungendo tensione e assurdo, mentre Anthony Carrigan, nel ruolo del silenzioso ma magnetico butler Griff, conquista la scena con gesti misurati. Completano il quadro Jessica Hynes, assistente astuta e manipolatrice, e i due scienziati Sunita Mani e Stephen Park, il cui lato “cerebrale” contrasta con l’istintività e l’emotività degli altri, creando un microcosmo di avidità, ambizione e caos che sostiene tutto il tono surreale del film.

Death of a Unicorn non è perfetto, e probabilmente non aspira a esserlo. È sbilenco, sopra le righe e volutamente eccessivo, ma non annoia mai. Mescola fantasy e splatter con un’ironia amara che funziona se sai cosa aspettarti. Forse la critica, troppo ancorata a un certo modo di intendere il cinema, lo ha stroncato più del dovuto. Alla fine, resta un esperimento sgangherato, ma con carattere.
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