Regia di Danny Boyle vedi scheda film
Davvero poca roba, Danny Boyle si conferma regista alla moda ormai superato dalle mode, abbastanza bollito pur se gli danno 11 Oscar, e che con l'horror splatter vero e la sua viscerale tensione ha ben poco cui spartire, se non per il condividere con "Resident Evil" di Paul W.S. Anderson il poco valoroso "primato" di avere codificato la vera e primigenia "creazione" degli zombi "veloci" e tarantolati, 23 anni fa con il primo capitolo. Infatti nemmeno più chiamati zombi ma "infetti", "camminanti'', "vaganti", o ogni altro un poco ipocrita appellativo con cui sono stati poi ridenominati in questi trascorsi venti anni, di estrema saturazione ed esaurimento del filone, a cui la "soap con i morti viventi di quinta scenografica" "The Walking Dead", e infiniti derivati, ha poi conferito davvero il definitivo colpo di grazia.
E proprio di "TWD" potrebbe sembrare quasi con più un tratto in comune e una delle sue versioni cinematografiche poi mai realizzate, vista la verbosità di quasi tutto questo "28 anni dopo", spacciata per approfondimento psicologico dei personaggi, dalle ormai aduse dinamiche familiari qui padre-figlio ragazzino, poi figlio ragazzino-madre malata di cancro, con uno sviluppo della seconda parte del film per cui si dovrebbe essere portati di non accanircisi troppo contro, data la natura ricattatoria del melò portata sullo schermo da Alex Garland, e di una malattia che è già fin troppo un orrore concreto del reale, e del quotidiano.
Interessanti come sempre alcuni inserimenti musicali come nientemeno che l'ouverture dal "Das Rheingold" di Richard Wagner, già innumerevoli volte utilizzato al cinema e in TV, come da Herzog- forse nella maniera migliore e più appropriata di tutti- per "Nosferatu- Il Principe della Notte" nel 1979, e Malick per "The New World- Il Nuovo Mondo" nel 2006.
Tipiche scene concitate e a sottrazione di fotogrammi delle quali Boyle è stato uno dei capostipite, per velocizzare le scene che spesso nelle ambientazioni buie e notturne non fan capire quasi nulla di quel che succede, e schizzi di sangue, frecce che trafiggono i nudi, invasati infetti, fatti con la CGI, e che quasi non si possono vedere. Finale con i giovanissimi "hipster" in tute e bigiotteria da rapper, grandi maestri acrobati di parkour e sterminatori di infetti, che dovrebbe essere propedeutico alla già immancabile e annunciata continuazione in una nuova "trilogia" - quindi altri due capitoli di cui certo non si sentirebbe tanto la mancanza-, però così brutto e affrettato, appiccicaticcio, che quasi non ci si crede.
Indigesto film ''patchwork" come si usa adesso, delle nuove saghe di "Planet of the Apes"-e tante altre ipercinetiche e iperdigitalizzate- come già il primo capitolo aveva saccheggiato ampiamente senza certo raggiungere un tale capolavoro, da "Il Giorno degli Zombi".
Premio "Rocky and The Bulwinkle" 2025, per uno dei ruoli più ridicoli e macchiettistici dell'anno, a Ralph Fiennes e al suo compassionevole medico-scienziato ricoperto da testa a piedi di tintura di odio, per proteggersi dalla eventuale infezione trasmessa dai rabbiosi tarantolati, gran bollitore di teste dei morti-viventi- non morti-, da incastonare in una piramide-totem di teschi umani dedicata al loro spirito. E che farebbe invidia agli Khmer Rossi di Ta Mok.
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