Regia di Daniele Vicari vedi scheda film
Nonostante l'ematofobia di cui soffre, la cosa che riesce meglio ad Antonio Zagari (Montesi, qui al suo primo ruolo da protagonista) è sparare. È nella cultura della sopraffazione, dell'omicidio, della violenza e dell'assoluta fedeltà alla 'ndrina di riferimento che lo ha cresciuto suo padre Giacomo (Marchioni), boss calabrese che ha svezzato Antonio e l'altro figlio (Fuorto), più istintivo, in Lombardia, in un opaco hinterland varesino fatto di capannoni, nebbia e villette. Su questo legame di dominio assoluto tra padre e figlio, che ha qualcosa di dichiaratamente edipico, il film costruisce una parte consistente della propria tensione. Qui i due ragazzi, sotto le direttive paterne e quelle del temibilissimo don Peppino (un inedito Rocco Papaleo, capace di risultare davvero minaccioso), fanno il bello e il cattivo tempo. Ma quando Antonio mette su famiglia, con una moglie (Caramazza) che incarna una possibile via d'uscita "normale", la catena degli omicidi a tradimento si allunga e le vicende in cui è implicato si fanno più intricate: per lui arriva il momento di voltare pagina e di aprire un diario nel quale racconta tutto quello che sa, diventando collaboratore di giustizia.
Tratto dall'omonima autobiografia dello stesso Zagari, scritta in carcere e ripescata a distanza di decenni (sceneggiata da Daniele Vicari con Andrea Cedrola), Ammazzare stanca è un gangster movie che, si parva licet, si colloca al crocevia tra Tarantino e De Palma, con un tocco pulp filtrato però da uno sguardo ancora legato al realismo di Vicari. Guardando all'Italia, il modello di riferimento potrebbe essere quello di Vallanzasca, pensato come un accatastarsi di eventi senza un vero climax, con qualche scena madre e qualche lungaggine di troppo, pur segnato da un crescendo che ha nel fallito sequestro finale il suo apice drammatico. L'ambientazione nei primi anni Settanta e Ottanta è indovinata, come pure i personaggi di contorno (dal gelido ufficiale dei carabinieri a certe figure di paese), e il lavoro su attori, dialetti e accenti è notevole; ma rimane l'impressione di un bozzettismo di fondo nella ricostruzione del contesto storico-sociale di quegli anni in cui la 'ndrangheta cominciò a radicarsi, quasi in sordina, anche al Nord.
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