Regia di Gennaro Nunziante vedi scheda film
Angelo vive a Roma, arrabattandosi come può. Lasciato dalla fidanzata, in ferie forzate, riceve una proposta inattesa dalla sorella: tornare a Palermo – dopo nove anni di assenza – per occuparsi per due settimane dei genitori anziani e malaticci. Angelo accetta, cogliendo l'occasione per vendicarsi di tutti i soprusi subiti da bambino.
Dilettantesco. Il primo aggettivo che affiora alla mente, al termine della visione di Io sono la fine del mondo, è questo: dilettantesco. Tutto si può dire e pensare del protagonista, Angelo Duro, tranne che una cosa: che sappia recitare. Che sia a suo agio davanti alla macchina da presa. Che abbia anche solamente un briciolo di appeal. Non è nemmeno una recitazione in levare, in sottrazione, la sua: è proprio uno spassionato abbaiare senza ritegno a favore di camera. E questo non si può perdonare: roba del genere può affossare anche un film riuscito e intelligente. Meno male che Io sono la fine del mondo non è né l'una, né l'altra cosa: una storia sconclusionata e rigurgitante situazioni già viste, perennemente virate al politicamente scorretto più banale e lineare - che quindi non ha nulla da dimostrare: tenta solo, disperatamente e invano, di scioccare; una storia farcita di gag che si riesce a capire che siano considerate tali sul copione solo perché interviene saggiamente il montaggio a chiudere la scena. In più momenti viene naturale chiedersi, durante la visione, che razza di incantesimo ci stia tenendo legati alla poltrona: e pensare che qualcuno ha persino pagato dei soldi per andare al cinema a vedere questo film. La sceneggiatura è firmata a quattro mani da Duro, che ricalca il suo personaggio televisivo, e dal regista Gennaro Nunziante – dal quale non ci si sarebbe aspettati una simile debacle artistica (la confezione sciatta e inespressiva di questa pellicola dovrebbe essere studiata nelle scuole di cinema, per insegnare a fare l'esatto contrario), dopo aver diretto i primi lavori di Checco Zalone. Ma la satira sociale acuminata e a tratti velenosa di Zalone è avanti anni luce rispetto a un film blando e opportunista come questo, che coglie il momento di popolarità (neppure estrema, tra l'altro) del protagonista per ricamargli addosso una storiella barzellettistica e basata su provocazioni sterili e puerili che neppure preoccupano: fanno solo sbadigliare. Giorgio Colangeli, Simone Montedoro, Marilù Pipitone e Matilde Piana sono gli altri interpreti principali; poco più di un'ora e mezza di durata. 1/10.
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