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C'era una volta mia madre

Regia di Ken Scott (II) vedi scheda film

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La recensione su C'era una volta mia madre

di lamettrie
7 stelle

Ben fatto, sulle madri prevaricanti, e l’ardua accettabilità della disabilità nell’età dello sviluppo. Stupisce perché si tratta di una storia vera. Che, per quanto per certi versi incredibile, appare invece credibilissima per tutto il dolore che la pervade, e per l’autenticità umana che ne emana.

Può apparire poco credibile per la improbabilità che un minore con quelle difficoltà diventi avvocato di massimo successo; più altri vantaggi, come la storia d’amore con una bella e adorabile moglie, che non pare in linea col fascino che, pur simpatico e realistico, il protagonista riesce a irradiare. Forse vari aspetti dolorosi sono troppo taciuti, per quanto riguarda la vita adulta, ovvero la seconda parte del film: il protagonista avanza nei successi in maniera troppo irresistibile, e un po’ improbabile. Ma nella prima parte tutto ciò è ben sviscerato, invece.

L’insopportabilità della madre arrogante e invadente – che pare il vero obiettivo del film - è descritta in maniera perfetta: ella (interpretata alla perfezione da Leila Behkti) impedisce a chiunque una sua autonomia, una propria emancipazione. La classica persona, donna, sposa, madre egocentrica, e dunque patologicamente rimasta fissata su cliché infantili che la illudono che tutta la realtà ruoti attorno a sé: i disastri sono enormi, di questo autoinganno, ben più dei vantaggi che invece lei crede (erroneamente) che giustifichino tale forzatura. La sua ignoranza va di pari passo con la sua presunzione, e con le figuracce che inanella così, da cui la mette – parzialmente – al riparo solo la bontà di chi – umanamente molto migliore di lei – le sta attorno, come il marito e il figlio in questione.   

Ken Scott costruisce un film veloce (poco più di un’ora e mezza), drammatico ma del tutto godibile per via dei numerosi inserti leggeri e/o comici; il cui messaggio passa per ogni tipo di platea, anche se la cura dei dettagli (nella fotografia, nella sceneggiatura) è davvero alta, tanto da soddisfare pure palati esigenti.

Eccezionale è il trucco: i genitori del protagonista invecchiano così alla perfezione.

Ma ottimi sono pure i costumi, fondamentali nel rendere vicino e credibile un passato come quello dell’infanzia del protagonista, tra gli anni ’60 e ’70.

Un eccellente – e per nulla retorico - lavoro psicoanalitico e transgenerazionale, incastonato nel mezzo secolo di storia vissuta. Con tutta la peculiarità di ebrei francesi di origine marocchina, vittime dunque anche di discriminazioni coloniali.  

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