Regia di Marco Spagnoli vedi scheda film
Ma perché i documentaristi italiani ce l'hanno tanto con Pino Daniele? Cosa ha fatto l'autore di canzoni meravigliose come Quando o 'Na tazzulella 'e cafè per meritarsi film così scadenti? La domanda sorge spontanea confrontando i tre tentativi di raccontare il grande musicista partenopeo (gli altri due sono Il tempo resterà e il pessimo Pino). Come già in un precedente documentario dedicato a Battiato (La voce del padrone), anche stavolta il regista Marco Spagnoli si fa accompagnare dalla presenza, invasiva come l'ailanto, del produttore Stefano Senardi, che col suo vistosissimo bastone tromboneggia non riuscendo a dire nulla di pregnante. Operazione che invece, nel consueto rosario di interviste, riesce a Gino Castaldo, uno dei pochissimi a portare una testimonianza di pregio. Se il film di Spagnoli è un pelo sopra i due "concorrenti" lo si deve piuttosto alla scelta di infilarci dentro tantissima musica, filmati visti pochissimo o per niente, e un approccio che si riserva di mettere a fuoco soprattutto gli esordi di Pino Daniele, quelli che lo avrebbero portato allo straordinario successo di Nero a metà (1980) grazie a brani come I say i' sto ccà, Quanno chiove e A me me piace 'o blues, in una strepitosa miscela di sound mediterraneo, influenze blues e jazz e canzone d'autore. C'è anche un momento di grazia: Pietra Montecorvino che canta Terra mia a occhi chiusi, seduta in poltrona. Altro che intellettualismi, lì si capisce tutto: basta chiudere gli occhi e ascoltare. Per il resto, sfilate di carneadi, ambientazioni posticce e una Napoli tirata a lucido come un set turistico. Droneggiando a go-go.
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