Regia di Lucia Chiarla vedi scheda film
Il coloratissimo zainetto con unicorno ricoperto di paillette di Luis, ragazzino di dieci anni di Stoccarda (che nel film non vediamo mai), attira la crudeltà dei compagni di scuola, quell'innocenza del diavolo che si converte con facilità in sadismo. Sua madre (Rudziewicz) vorrebbe trovare una via di compromesso e cestinare quella cartella che colloca Luis nella voce "omosessuale"; il padre (Riemelt), tassista alle prese con problemi di altro genere, ne fa invece una questione di principio. Il film di Lucia Chiarla, tratto da un testo teatrale, ruota interamente attorno all'opportunità di conservare o meno quello zaino, prisma attraverso il quale ci vengono mostrate due differenti filosofie pedagogiche e una coppia già logorata dal lavoro e da giornate senza respiro. In questo quadro, anche la scuola fa la sua parte, più propensa a patologizzare il bambino e a proporre cambi di zaino o di istituto che a interrogarsi seriamente sui bulli e sui loro genitori. Alla regista va riconosciuto il merito di evitare il manicheismo (facile immaginare uno sguardo maschile più vicino al padre e uno femminile più solidale con la madre) e di cimentarsi con un'opera che si svolge per intero in esterni e quasi sempre dentro l'abitacolo del taxi, accettando il rischio di una messa in scena claustrofobica e un po' ripetitiva. La pellicola, che si guarda bene dallo scegliere da che parte stare e preferisce lasciare allo spettatore le domande su identità, conformismo e responsabilità educativa, resta coerente nel mostrare quanto siano intricate le dinamiche che si celano dietro il bullismo, la discriminazione, l'ossessione per ciò che appare "normale": inevitabile però che ogni tanto possa scapparci uno sbadiglio.
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